11 commenti Commenta
utente anonimo
Scritto il 18 Giugno 2008 at 20:10

sono io ………quello della crisi di astinenza….se è cosi…..venerdi andrò in overdose

utente anonimo
Scritto il 19 Giugno 2008 at 11:44

looking forward to….*s*

(AGGIORNAMENTO riguardo i “total borrowings of depository institutions from the FED (BORROW ) “:

(mld di dollari)

2007-11: 0.366
2007-12: 15.430
2008-01: 45.660
2008-02: 60.157
2008-03: 94.523
2008-04: 135.410

il 1 maggio il totale era salito a 155.730 !

vi ricordo che negli ultimi 20 anni, il punto più alto (3.385) era stato toccato….il 1 settembre 2001 ( 10 giorni prima dell’attacco alle Torri Gemelle….)…
e vi ricordo che MAI, ripeto, MAI !, dal 1919, la cifra aveva superato il (10.000)

Vi ricordo infine che l’unico blog in Italia ( e, per quanto pare risultare da google e altavista, l’unico in Europa…) a parlare di queste sbalorditive cifre, è il blog di Andrea….

ad maiora

Gabriel

Scritto il 19 Giugno 2008 at 15:24

ciao. volevo chiederti… ho una discussione da tempo con un mio amico riguardo l’indice di borsa. per me non e’ una indicazione non dico del benessere ma nemmeno della ricchezza di un paese. il mio amico dice che, visto che l’indice sul lungo periodo cresce sempre, c’e’ sempre piu’ ricchezza, anche materiale. non sono d’accordo, per diversi motivi. ma tu, cosa ne pensi? ciao, ventopiumoso (andrea)

utente anonimo
Scritto il 19 Giugno 2008 at 17:18

Beh dilli al tuo amico se secondo lui lo scambio azionario rientra nel PNL.(ricordo che il pil=Y+G+I+EX-IX
La risposta ovviamente e no … la voce investimenti del pnl (facciamo in generale il pil) si riferisce diciamo alle rimanenze o meglio alle parti di capitale che saranno utilizzate.
Ho parlato di pil o pnl dato che sono per eccellenza gli indicatori di ricchezza.
Ciao !

utente anonimo
Scritto il 19 Giugno 2008 at 19:57

Ciao,
al tuo amico digli che non e’ indicativo l’ indice di borsa come non lo e’ la crescita del PIL per misurare il benessere reale di una nazione.
Fagli l’ esempio del PIL chedigliu se gli garberebbe di morire domani, alla risposta negativa…spero…digli che e’ un peccato perche’ con la sua morte il relativo funerale etc etc la produzione di beni (cassa da morto) e servizi (il relativo funerale) avrebbe fatto aumentare il PIL ed allora secondo la credenza comune avremmo aumentato il benessere….
Saluti
Massimo

Scritto il 20 Giugno 2008 at 12:17

Grazie Andrea…

utente anonimo
Scritto il 20 Giugno 2008 at 17:07

FERRETTI….uno scandalo !!!
Scusa Capitano se scarto ma volevo condividere una mia opinione con la ciurma, dal tuo punto di vista e’ corretto che un titolo la FERRETTI delistata qualche anno fa, si ripresenti poi con una nuova IPO ? Il tema e’ caldo visto che ormai i delisting fioccano…perche’ quotarsi poi fare delisting e poi quotarsi di nuovo ? Tieni presente che i piccoli azionisti, come me allora furono obbligati a vendere !!!!
Mi pare che sia, come sempre una solida “tosata” al parco buoi ! Ma quello che mi lascia interdetto e’ che nessuno dice nulla! per il resto che dire grande come sempre.
Saluti
Massimo

Scritto il 21 Giugno 2008 at 06:21

Caro Ventopiumoso in questa società pur di nascondere la realtà ti direbbero che è indicativo anche il livello di consumo giornaliero a debito per giustificare il volo del PIL figurarsi la crescita di un indice azionario.

PIL e Borse non sono testimonianza di ricchezza o meglio sono la testimonianza della facile ricchezza quella che puoi manovrare a tua immagine e somiglianza.

Il mio PIL e la mia borsa personale sono tarati sul grado di felicità e serenità di un uomo il resto sono specchietti per le allodole!

Andrea

utente anonimo
Scritto il 21 Giugno 2008 at 09:33

ciao andrea come vedo lavori di più in ferie che a casa !!!!.SCHERZAVO , ti volevo far notare iun piccolo particolare ,come mai le azzioni di mediaset : mondadori :mediolanum .

utente anonimo
Scritto il 21 Giugno 2008 at 09:41

continuo del post n9 e banca mote paschi , sono tutte sotto la media dei 10 anni ,mentr tutte le altre no ,? . le cose sono 2 o loro! leggono il tuo blog da molto tempo ,o sanno cose che noi non sappiamo !! ciao minghin

utente anonimo
Scritto il 4 Novembre 2009 at 15:07

INVESTIRE IN CAMPAGNA? UN PESSIMO AFFARE
 
A mio avviso il mercato, ora morto, può riprendersi solo se i prezzi calano ulteriormente. Chi mette in vendita ai prezzi assurdi di 2 o 3 anni fa , IN REALTà NON VUOLE VENDERE, non ha bisogno di vendere: ASPETTA IL POLLO, IL FESSO DA SPENNARE.
Una casa è vendibile solo se il venditore richiede un PREZZO DI RIVENDIBILITà, ovvero se a quel prezzo, al prezzo al quale compra, il compratore riuscirà a sua volta a rivendere l’immobile.
 
Mi sembra che i casi più eclatanti di IRRIVENDIBILITà presenti sul mercato siano quelli delle case di campagna, cascine, casolari, coloniche, rustici ecc. OGGI ASSOLUTAMENTE INVENDIBILI, specie se restaurate.
I prezzi delle country house REALMENTE IN VENDITA stanno crollando verticalmente.
Posto al riguardo un articolo, per intero perché l’edizione di settembre del mensile che lo ha pubblicato non è più on line, che ben illustra la situazione delle country house dell’italia centrale e meridionale.
 
 
 
“ Country house: Inglesi in fuga.
 
Gli Italiani sono stufi del caos urbano, delle città riempitesi di immigrati clandestini, di spacciatori, prostitute, locali notturni della criminalità, di furti, scippi, stupri, estorsioni, ovvero di quell’inferno, quell’incubo in cui sono state colpevolmente trasformate le nostre aree urbane.
Il rapido deterioramento della qualità della vita nelle città ha spinto negli anni passati molte famiglie a esplorare le campagne in cerca di oasi di tranquillità e sicurezza. Ma la speranza di trovare una migliore vivibilità nelle campagne si è rivelata illusoria: soprattutto nelle zone rurali prossime a strade provinciali, a discariche e tralicci o a zone industriali il degrado è simile se non superiore a quello cittadino, con una popolazione locale composta prevalentemente da clandestini magrebini e da Rumeni, e da qualche agricoltore in pensione, troppo vecchio per cambiar casa e scapparsene via.
Tuttavia se oggi ci si allontana dalle provinciali e ci si addentra nelle campagne e nei piccoli borghi più sperduti si ha una duplice sorpresa: i casolari più isolati e inaccessibili sono stati comprati nello scorso decennio da Inglesi, e, guarda caso, ora questi Inglesi stanno vendendo in massa.
La moda che negli anni scorsi sembrava irrefrenabile, per cui i sudditi di Sua Maestà Britannica correvano a comprare a prezzi assurdi le più scassate e scatafossate bicocche per restaurarle e corredarle di piscina, è finita. Ed è finita decisamente male per gli Inglesi, che ora devono rivendere case scomodissime e costose, case che nessun Italiano vuole, almeno a quei prezzi.
La trascorsa decennale epopea delle case di campagna comprate dagli Inglesi è tutta da ridere, roba da commedia all’italiana. Beandosi della sterlina allora forte, i Britanni compravano quasi a occhi chiusi cascine, rustici, i cosiddetti casolari tipici umbri, marchigiani, pugliesi. Tali umide, maleodoranti e malferme catapecchie erano state abbandonate negli anni ’60 e ’70 dai nostri agricoltori i quali, godendo di tutti i benefici e i privilegi creditizi e fiscali loro concessi a piene mani dalla Bonomiana in cambio del consenso elettorale alla Democrazia Cristiana, si erano fabbricati moderni edifici, autentiche ville e palazzi dotati di ogni confort. Questi contadini, così beneficiati dal (nostro) pubblico denaro, non immaginavano certo di essere colpiti da un’altra imprevedibile fortuna: la moda inglese dell’italian dream, il sogno italiano della country house nel Bel Paese.
L’Italiano è furbo, ha l’occhio lungo, il contadino in particolare, scarpe grosse e cervello fino, con alle spalle una secolare tradizione di ruberie al padrone, agli antichi proprietari terrieri (quelli, per intenderci, che avevano appoggiato il fascismo, poi nel dopoguerra sterminati dalla DC a favore dei contadini stessi).
Ebbene, il furbo vergaro italico, magari col figlio geometra o mediatore, ha colto al volo e ben sfruttato l’ingenua moda britannica: capanne e ruderi di tufo o di altro materiale scadente, in luoghi scomodissimi, lontani da ogni tipo di servizi, che prima degli Inglesi nessuno voleva nemmeno in regalo, venduti per centinaia di milioni di lire a eccitati (“excited”!) sudditi britannici. Poi le famiglie contadine festeggiavano l’insperato affare crapulando in oceanici banchetti ai quali venivano invitati parenti e amici, e, ovviamente, i “chicken” britannici ben spennati.
Ma l’affare non finiva lì: il neoacquistato rudere doveva essere ristrutturato. Tutti conosciamo lo scarso fairplay italico quando si tratta di differenziare i prezzi per turisti stranieri dai prezzi per Italiani: nelle campagne tale differenziazione è stata elevata all’ennesima potenza. All’ingenuo acquirente, reso ancor più fidente da abbondanti “lunch” e da tanta falsa accoglienza iniziale, veniva consigliato per i lavori il cugino geometra, il cognato muratore, il genero idraulico, la nipote titolare dell’agenzia per le pratiche burocratiche, l’amico rivenditore di materiali per l’edilizia. Case del valore finale reale di 100.000 – 200.000 euro venivano a costare 400.000, 500.000, 600.000 euro. Una pacchia, una vera manna per i nostri campagnoli che, giustamente, ne approfittavano, in base al principio: “Finché si trovano i polli…”.
Poi arrivò l’anno domini 2008, l’anno dei subprime, del crollo del mercato immobiliare negli Stati Uniti e nel Regno Unito, dei fallimenti a raffica di banche e assicurazioni inglesi, del governo britannico che per turare le falle nel sistema creditizio si svenava e stampava sterline come se fossero volantini pubblicitari. E la sterlina contro l’euro crollava, crollava, sempre più in basso, sempre più in fondo: 1.7,  1.4,  1.3,  1.1 … E gli Inglesi residenti nelle bicocche con piscina restaurate a caro prezzo, che avevano redditi in sterline, convertivano quelle sterline in sempre meno euro, e cominciavano a chiedersi: “Ma non ci converrà ritornarcene in Gran Bretagna (“go back home”), visto che qui in Italia con le nostre sterline svalutate non ci compriamo più nulla?”. Oltretutto i Britanni si erano nel frattempo stufati di coltivare stentate erbette e verdurine per le talpe, di scorazzare inutilmente coi loro fuoristrada con targa gialla e guida a destra per le nostre campagne, belle sì, ma prive di servizi, di vita sociale tra gente sopportabile, di comodità, così desolate durante le lunghe invernate, e, in fin dei conti, noiose da inedia. Si erano stancati di attendere l’ispirazione artistica raccogliendo in continuazione col retino insetti, formiche, vermi di mosche e altra campagnola sporcizia galleggiante nell’acqua delle loro piscine. Si erano accorti che l’Italia, la vagheggiata Italia, l’italian dream, più che un sogno era un incubo di clandestini, malavita, tasse, burocrazia, servizi pubblici scadentissimi, rapine e stupri in villa…
E allora hanno pensato: “Ma se vendiamo questo nostro casolare tipico toscano umbro marchigiano che abbiamo pagato centinaia di migliaia di euro, e convertiamo queste centinaia di migliaia di euro in sterline, poi con tutte queste sterline in Inghilterra torniamo a vivere da signori”. Ed ecco allora gli Inglesi affollare le nostre agenzie immobiliari, ecco i mediatori riempire bacheche, siti internet e giornaletti immobiliari di casolari tipici ristrutturati con piscina in vendita… ma, ma….
Ma nessuno compra.
Nessun Italiano con famiglia, con figli e/o anziani, può andare a vivere in quelle lande isolate e sperdute, vicino a qualche spopolato paesetto di vecchi, senza servizi, senza scuole, senza ospedali. Nessun Italiano è disposto poi, anche se libero dalle necessità di una famiglia, a pagare un immobile tre, quattro, cinque volte il suo reale valore. Anche perché l’acquirente italiano, sempre con l’occhio lungo, pensa: “Ma un domani, se dovrò rivendermi questa bicocca in campagna, quale fesso me la comprerà?”. Senza contare infine che sul valore delle aree rurali incombe il 2013, l’anno in cui, in ossequio ad accordi liberisti di commercio mondiale già siglati, tesi a favorire le esportazioni agricole di paesi emergenti, l’Europa toglierà agli agricoltori quei sussidi che finora ne avevano permesso la sopravvivenza, con conseguente futuro deprezzamento e cambio di destinazione (a pascolo) dei terreni.

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