OUTLET ITALIA … GRAN CORSA ALLE AZIENDE IN SVENDITA!

Scritto il alle 12:16 da icebergfinanza

Solo per ricordare alle belle addormentate nel Paese delle Meraviglie italiane il senso, la dimensione, le conseguenze di tutto quello che sta succedendo, poi ognuno la vede dalla Sua prospettiva come meglio crede. Siccome so che il pubblico di Icebergfinanza ama la storia consiglio a tutti di andare a leggersi cosa accade nei primi anni novanta per avere la dimensione di quello che sta accadendo oggi… 

La crisi da spread ha anche qualche aspetto positivo: nel 2011 i flussi di capitali stranieri in Italia, fermi per anni, si sono addirittura più che triplicati. Trentatré miliardi e 100 milioni di investimenti esteri diretti nel nostro Paese contro i 32,3 approdati in Germania. Siamo una terra in saldo che si fa scippare le sue aziende migliori ma anche un posto in cui non tutto è da buttare. Perché a volte il viaggio è per restare, per assicurarsi eccellenze che nessun altro offre!

MILANO — La si può dipingere con i colori privi di sfumature del dramma: l’Italia in saldo, l’Italia preda, l’Italia che si fa scippare i suoi pezzi migliori. Si può però provare a vederla anche da un’altra angolatura (magari per tirare fuori un po’ d’orgoglio): non è proprio tutto da buttare, qui. Ci si può venire per portar via, certo, e c’è chi lo fa. Ma a volte il viaggio è per restare, per assicurarsi eccellenze che pur tra i mille difetti del Paese nessun altro offre, per far crescere quel che spesso noi — purtroppo — nemmeno a prezzi da svendita siamo oggi in grado di mantenere e far girare. E poi. Ci lamentiamo da anni di essere un sistema incapace di attrarre investimenti dall’estero, perennemente in fondo a qualsiasi classifica (non sempre indiscutibili: ci sta che per la Banca mondiale siamo all’ultimo posto tra le nazioni Ocse, ci sta un po’ meno prendere per buono che persino il Ruanda sia più businessattractive di noi). Forse, ora, in quelle graduatorie qualcosa dovremmo cominciare a rivedere. 
È vero che dall’Italia le multinazionali continuano a fuggire. È indubbio che anche i pochi global big con passaporto nazionale (Fiat ma non solo) tendono sempre più a delocalizzare, peraltro esattamente come i piccoli-medi che possono permetterselo. È innegabile che nelle condizioni di competitività del sistema nulla sia ancora cambiato, quanto meno non in positivo. E tuttavia. L’altra faccia della crisi da spread è che i flussi dei famosi capitali stranieri hanno cominciato a gonfiarsi anche in entrata. Fermi per anni, lì, nel 2011 sono più che triplicati. Hanno addirittura superato i numeri dei tedeschi (in netto calo, quasi anche questo fosse uno specchio fedele dei rapporti di forza e debolezza in area euro): 33,1 miliardi gli investimenti esteri diretti in Italia (inchiodata a 9,2 miliardi ancora nel 2010), 32,3 quelli approdati in Germania (dai 46,1 dell’anno prima).
Per dirla in termini di peso sul Prodotto interno lordo, siamo saliti dallo 0,45% a un punto secco in più, l’1,47%. Sempre pochissimo rispetto al resto d’Europa, soprattutto se dai flussi si passa ai cosiddetti stock: sul Pil britannico il totale dei capitali esteri conta per il 48,4%, la Spagna segue poco più giù con il 43,7%, la Francia arriva al 39%, noi ci blocchiamo al 16,4% (pure qui, paradossalmente e chiaramente per ragioni opposte, i più vicini sono i tedeschi: 20,4%). Ma qualcosa si muove. E dev’esserci anche una certa fiducia nelle prospettive e nella solidità del Paese reale se è vero che a Madrid, a sua volta teoricamente e ancor più di Roma in «saldo da spread», l’estero sta fermo: 24,5 miliardi aveva investito nel 2010, a 25 è rimasto nel 2011. Certo, nemmeno da noi quegli investimenti sono ex novo, anzi: mentre si allungava il capitolo «acquisizioni» le attività «da zero», tutte da costruire, mostravano un calo del 52% (peraltro, qui, la stessa Germania perde l’1% e tra i grandi Paesi Ue solo la Gran Bretagna chiude in attivo). La questione tuttavia non è questa. «È — sintetizza Giorgio Barba Navaretti, ordinario di economia all’Università degli studi di Milano ed economic advisor del Comitato investitori esteri di Confindustria — se questi capitali generino poi davvero valore aggiunto in Italia». 
Per una Lactalis sospettata (e qualcosa di più) di voler «smontare» Parmalat, la risposta di solito è sì. Audi con Ducati, o Mitsubishi con la sconosciuta (ai più, perché in realtà dalla Puglia è leader nelle conserve di pomodoro) Ar industrie alimentari, o ancora l’ondata di acquisizioni da Germania, Svizzera, Austria tra produttori di macchine da caffè o impianti di riciclaggio rifiuti della Marca trevigiana, sono state certo favorite dalle difficoltà finanziarie provocate dal credit crunch, da imprenditori che in questo scenario nazionale non ce l’avrebbero fatta a garantire sviluppo o addirittura sopravvivenza, dai prezzi da saldo in cui tutto questo si traduce. Ma — Barba Navaretti ne è convinto — «sono operazioni industriali, che mantengono o rafforzano produzione e occupazione», non uno shopping all’outlet Italia e via, ritorno in patria con il gioiello strappato. I giapponesi non si sono comprati i pomodori pugliesi per farli diventare «pelati in scatola» da qualche altra parte: la tecnologia buona è già qui. O Ducati: lo sanno, all’Audi, che il plus è l’anima motoristica emiliana. Per non parlare del turismo: l’emiro del Qatar Hamad Bin Khalifa si è comprato la Costa Smeralda (peraltro mai italiana quanto a proprietà) così come si era comprato una quota di Porsche. Ossia per far fruttare il proprio immenso patrimonio, non per puro divertimento come con lo strapagato duo Ibrahimovic-Thiago Silva portato dal Milan al Paris Saint-Germain.
Divagazioni calcistiche a parte, quelle citate sono tutte operazioni del 2012. E confermano l’exploit 2011, che è solo in parte frutto delle grandi acquisizioni alla Bulgari (4,2 miliardi da Lvmh) o alla Parmalat (3,7 miliardi da Lactalis). A conti fatti, sui 33 miliardi totali solo 12 riguardano nomi da prima pagina, il resto è fatto da tante piccole e medie aziende sconosciute ma, come il grosso della nostra rete di imprese, appetibili per tecnologie e mercati. 
Dopodiché: quanto hanno fatto davvero la differenza, per chi acquistava, i prezzi da saldo? Un anno fa sicuramente molto. Ovvio ed evidente. Oggi, a giudicare dai parametri offerti dalle società quotate, non molto più di allora. Agosto 2011, pieno tsunami da spread: il campione nazionale Eni aveva dimezzato il proprio valore, da 100 a 53 miliardi, le Generali erano precipitate da 42 a 18, Unicredit e Intesa da 70 (più o meno) a una ventina. Agosto 2012: nonostante un altro anno e un’altra estate di eurotempeste, assicurazioni e banche sono suppergiù lì (solo Mediobanca dimezza o peggio, da 5,5 a 2,4 miliardi), un gruppo industriale come Fiat resta dov’era dodici mesi fa (sui 5 miliardi), l’Eni addirittura recupera quasi il 50% di quel che aveva bruciato (è a 70 miliardi). Sempre possibili prede facili, vero, quasi tutte (come da allarme di Franco Bernabè, altri due miliardi di capitalizzazione persa da Telecom agosto su agosto). Forse, però, non proprio tutte ancora più fragili.
Raffaella Polato Fonte: www.corriere.it

Chissà, nonno Otto Von Bismarck diceva che gli stupidi dicono che imparano dall’esperienza, lui preferiva imparare dall’esperienza degli altri, noi dalla storia!

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4 commenti Commenta
marcooooo
Scritto il 10 Agosto 2012 at 14:25

condivido pienamente, un approccio di tipo britannico, mi rendo conto che sono aziende a saldo, e non liberalizzazioni di mercato, ma comunque le aziende crescono, si internazionalizzano, e gli italiani maestri di creatività, saranno in grado di creare nuove attività di valore aggiunto.
Inoltre quando un bel pezzo di Italia produttiva sarà in mano a Tedeschi, Francesi, altro… il paese andrà di nuovo tutelato per interesse dei “conquistatori”

_francesco_
Scritto il 10 Agosto 2012 at 15:32

Questi acquisti sono il cavallo di Troia, ci faranno fare la fine dell’Irlanda…

Mi spiego: gli IDE (investimenti diretti esteri) vanno iscritti Bilancia dei Pagamenti. A tutti coloro che giulivamente accoglieranno questi acquisti come investimenti esterei dovremo far notare proprio questi. Voi, che aborite il debito come causa di tutti i mali, ne stare festeggiando l’aumento. All’Irlanda e’ succeso proprio questo. Hanno invogliato con ogni mezzo gli investimentoi esterei (fondamentalmente con basse aliquote di tassazione sui redditi), ma su quesgli investimenti ha poi dovuto pagare redditi da capitale al resto del mondo per una cifra da capogiro, il 32pct del PIL.

Fermate il mondo, voglio scendere …..

_francesco_
Scritto il 10 Agosto 2012 at 15:34

“vanno iscritti Bilancia dei Pagamenti come debiti” maledetta fretta ….

dorf001
Scritto il 10 Agosto 2012 at 19:46

parlando di svendita di tutto. parlando di politici puttanieri che non valgono nulla. idem per i tecnici. sentiamo cosa ha da dirci il “solone” ? marc faber. l’ameriggano. facciamoci 2 risate.

TEORIA DI MARC FABER
Una curiosa teoria economica che è stata annunciata negli Stati Uniti. Il tipo si chiama Marc Faber.
un analista in borsa e uomo d’affari, un imprenditore che ha successo.

Nel giugno 2008, quando l’amministrazione Bush ha studiato un progetto per aiutare a rilanciare
l’economia americana, Marc Faber ha scritto nel suo bollettino mensile un commento con molto
umorismo:

“Il governo federale sta valutando di dare a ciascuno di noi una somma di 600,00 USD. Miei cari
connanzionali americani: Se noi spendiamo quei soldi al Walt-Mart, il denaro va in Cina. Se noi
spendiamo i soldi per la benzina, va agli arabi. Se acquistiamo un computer, il denaro va in l’India.
Se acquistiamo frutta, i soldi vanno in Messico, Honduras e Guatemala. Se compriamo una buona
macchina, i soldi andranno a finire in Germania o in Giappone. Se compriamo regalini, vanno a Taiwan,
e nessun centesimo di questo denaro aiuterà l’economia americana.
L’unico modo per mantenere quel denaro negli Stati Uniti è di spenderlo con puttane o birra,
già che sono gli unici due beni che producono ancora qui. Io sto già facendo la mia parte ……..”

Risposta di un economista italiano, anche lui di buon umore:

“Carissimo Marc : La situazione degli americani diventa realmente sempre peggiore. Inoltre mi dispiace
informarla, che la fabbrica di birra Budweiser recentemente è stata acquistata dalla multinazionale brasiliana
AmBev. Pertanto Vi restano solo le puttane. Ora, se queste (le puttane) decidessero di inviare i loro guadagni
ai loro figli, questi soldi arriverebbero direttamente al CONGRESSO DEI DEPUTATI ITALIANI qui a Roma,
già che qui esiste la maggior concentrazione di figli di puttana del mondo.”

by DORF

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