ARTICOLO 18 FUMATA NERA!
E’ stato affascinante seguire nel fine settimana il siparietto tra il professor Monti e il suo omologo Giavazzi, addirittura con la lettura in pubblico dell’editoriale di quest’ultimo …
(AGI) – Roma, 17 mar. – Mario Monti cita Francesco Giavazzi e lo bacchetta con il suo consueto aplomb. Davanti alla platea di Confindustria, il presidente del Consiglio ha letto interi brani di un editoriale dell’economista sulla riforma del mercato del lavoro e in particolare dell’articolo 18, pubblicato oggi al Corriere della Sera. “‘Il ministro Fornero ha pronto un testo incisivo che prevede subito interventi volti a eliminare la segmentazione tra precari e lavoratori a tempo indeterminato e che modifica immediatamente l’articolo 18 per i nuovi assunti'”, ha letto Monti, “‘su queste norme si gioca il futuro del governo e del Paese. Se le pressioni corporative o i suoi colleghi ministri dovessero chiederle un passo indietro, Elsa Fornero dovrebbe, con lo stile e la determinazione che la caratterizzano…'”. E qui il presidente del Consiglio si e’ fermato un attimo. “E’ il punto piu’ pregiato secondo me di tutto l’articolo”, ha detto suscitando l’ilarita’ della platea. Dunque, ha ripreso, “‘se le pressioni corporative o i suoi colleghi ministri’ – ma in translucido leggo anche ‘il suo presidente’ – Elsa Fornero dovrebbe, con lo stile e la determinazione che la caratterizzano, abbandonarli al loro destino'”.
Simpatico il nostro Giavazzi, uno dei tanti professori che in questi anni hanno espresso le loro frustrazioni dalle pagine del Corriere, senza riforma finiremo tutti abbandonati al nostro terribile destino, senza crescita e senza lavoro.
Growth, growth, growth, market, market, market, pil, pil, piiiiiiiiil!
Di articolo 18 e di crescita, di PIL e di altre ideologie ne abbiamo parlato in più occasioni ma anche se la priorità è quella di trovare un accordo, l’urgenza oggi è quella di usare lo spread per fare la riforma del lavoro, qualunque essa sia. Oggi si chiude e per ricordarlo è intervenuto addirittura il presidente della Repubblica.
Non passa giorno in questo Paese che qualcuno non si accorga di avere ricevuto in regalo un appartamento o addirittura una vasca da bagno piena di cozze pelose, o qualche bonifico alla propria fondazione, non passa giorno nel quale qualche politico o banchiere simbolo del fallimento torni a dirigere un’azienda fallita.
Inutile focalizzarsi sul crollo della produzione o sulla recessione tecnica in corso, inutile perdere tempo a spostare le virgole o le percentuali del declino imprenditoriale o politico del nostro Paese, ciò che conta è concludere la trattativa per l’articolo 18 o alzare l’IVA per saldare gli swap negativi con le banche d’affari americane.
Senza voler generalizzare, tra lo scrosciare di standing ovation che ha accompagnato il discorso del professore alla conferenza di Confindustria c’erano alcuni pezzi pregiati del capitalismo all’italiana, quello che nasconde capitali all’estero e usa la leva finanziaria per investire o speculare sul nostro territorio, spesso e volentieri senza metterci un solo centesimo del patrimonio personale.
Auguriamoci che la Fiat non abbia più bisogno di alcun centesimo del nostro debito pubblico in futuro visto l’incesto di questi anni come ha sussurrato esaltando le doti di Marchionne, il professor Monti.
Crescita, crescita e ancora crescita…
Con tutte le capricciose giravolte dei mercati internazionali e la febbrile rincorsa al diktat della crescita quale miraggio salvifico dei tempi grami della crisi, è inevitabile che prima o poi qualcuno provi a porsi il bizzarro interrogativo: ma è il Pil ad essere stato ideato per l’uomo o è l’uomo che vive per il Pil?
Metafore bibliche a parte, la domanda in questione in realtà sottende il serio e laicissimo tentativo di analizzare criticamente quello che gli accademici chiamano il valore euristico di una teoria, in questo caso economica, ovvero la sua capacità di elaborare chiavi di lettura persuasive e verosimili della realtà indagata. Nell’ultimo densissimo scritto appena approdato nelle librerie italiane, Martha Nussbaum, in consonanza con le tesi dell’economista premio Nobel Amartya Sen, sostiene appunto che valutare lo sviluppo e il benessere economico di una nazione attraverso il parametro teorico del prodotto interno lordo pro-capite dei suoi abitanti sia un approccio tanto diffuso quanto grossolanamente inadeguato e fuorviante. Come attestato dal clamoroso esempio del Sudafrica, che all’epoca dell’apartheid figurava beffardamente all’apice della classifica dei paesi in via di sviluppo, il rilevamento del Pil non ci fornisce alcuna indicazione né sull’effettiva distribuzione della ricchezza né soprattutto sulla fruizione dei diritti umani fondamentali da parte dei singoli cittadini di uno stato.
Nulla di buonista o di velleitariamente filantropico, nessun facile embrassons-nous di maniera, ma un’analisi fondata su ragionamenti e dati solidi, come quelli recentemente rilevati dalla Commissione Sarkozy, dai quali è infatti emerso che, perfino nella florida Francia, gli investimenti di capitale straniero, pur facendo lievitare il Pil, non vanno affatto a rimpinguare i redditi familiari, né incidono positivamente su sanità ed istruzione in assenza di interventi politici ad hoc. Insomma, un’altra eloquente smentita di quella obsoleta “teoria della ricaduta” (o trickle-down), secondo la quale la mitica “crescita” dovrebbe necessariamente implicare benefici economici anche per i meno abbienti. Il movimento dell’Human Development and Capability Association, fondato appunto dalla Nussbaum e dallo stesso Amartya Sen, propone invece di reinterpretare la nozione di sviluppo economico attraverso il criterio (già aristotelico) delle “capacità” individuali, monitorando cioè, in ogni contesto nazionale, le opportunità e le libertà essenziali di cui le singole persone possono effettivamente fruire per accedere ad un livello minimo di qualità (materiale e immateriale) di vita che sia all’altezza della loro uguale dignità umana.ILFATTOQUOTIDIANO
Eppure in questo oceano di corruzione ed incompetenza, in questo orgasmo di ideologie accademiche ciò che conta è la crescita e l’articolo 18!
Mi raccomando non incominciate a parlare di redistribuzione o di democrazia aziendale, di sostenibilità dei redditi o di finanziarizzazione dell’economia, ciò che conta oggi è dare l’impressione che il problema è tutto nella crescita, crescita e ancora crescita!
L’articolo 18 sarebbe un falso problema, e solo in Italia assume le velenze che stanno incendiando, giustamente, il dibattito politico e “civile” di questi giorni.
Il problema ha almeno due facce:
Un sindacato serio (IG Metall tedesco per fare un esempio) ha come obiettivo la protezione dei lavortori contro eventuali abusi e lo sviluppo dei lavoratori e del lavoro.
Se un lavoratore si comporta male un sindacato serio non lo difende ad oltranza perchè sa che in questo modo danneggia l’azienda, gli altri lavoratori e la propria credibilità presso entrambi.
Un sindacato serio di fronte ad una azienda che abusa della propria posizione di forza contro il singolo è in grado di usare la forza del gruppo per riportare l’azienda entro le righe.
Se c’è prevaricazione verso il singolo lavoratore tutti i lavoratori di quell’azienda dovrebbero sentirsi obbligati alla solidarietà scioperando fino alla chiusura della vertenza. Nessun imprenditore di un’azienda sul mercato riesce a resistere ad un’azione del genere, neppure per pochi giorni. Ma si sa che in Italia “mors tua Vita mea” ed “io speriamo che me la cavo”.
Dall’altro lato c’è una classe imprenditoriale misera, pavida e ridicola che non ha MAI mostrato la minima attenzione al bene comune, furbizie, piccinerie, truffe frodi evasione fiscale e falso in bilancio sono pane e companatico di troppe aziende italiane dove imprenditori che si sono arricchiti negli anni d’oro oggi (anzi da ieri) hanno smesso di investire nelle loro aziende e stanno finendo di succhiarne il sangue fino all’ultima goccia.
L’eliminazione dell’articolo 18 diventa funzionale al progressivo smantellamento industriale con bassi oneri di ristrutturazione/chiusura.
Ma alla fine il male peggiore non viene toccato. In Italia ci sono gli stipendi più bassi e le aziende pagano un alto costo del lavoro.
Per dare 2000 euro al mese ad un lavoratore , che sarebbe il minimo per vivere decentemente con una famiglia il datore di lavoro deve pagarne 4500.
Tutto questo per pagare un carrozzone pubblico abnorme fatto di politici corrotti e organici gonfiati.
L’Italia ha bisogno di grandi riforme , quella dell’articolo 18dovrebbe essere l’ultima.
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Vogliamo fare una riforma come dio comanda? allora andiamo a toccare anche i pubblico impiego, stipendi, regole di contrattazione e premi. Allora io firmo per la flessibilità
http://italyworkinprogress.blogspot.it/2012/03/art18-addio-posto-fisso-tranne-per-la.html