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TOO BIG TO FAIL: UNA BALLA TIRA L’ALTRA!
Nel 2008 all’inizio delle crisi proposi attraverso la storia una soluzione possibile a questa crisi condividendo con i lettori la dinamica della crisi nordica che caratterizzò gli anni novanta!
” Dalla Sauna Svedese all’Aurora Boreale è un omaggio alla risoluzione della crisi svedese dei primi anni 90 attraverso un “nazionalizzazione temporanea” del sistema
finanziario svedese, nazionalizzazioni che come uno tsunami stanno travolgendo
l’intero sistema finanziario mondiale, dalla Northern Rock alla Sachsen LB sino
alla West LB foraggiate da capitali pubblici della banca KFW dalla coppia Fannie & Freddie sino alla famigerata AIG per giungere ai nostri giorni alla nazionalizzazione della Fortis e della Bradford & Bingley! Brad deLong riportato da Paul Krugman sostiene che ….that Swedish-style temporary nationalization is the right answer to a financial crisis ….che il modello svedese della temporanea nazionalizzazione è quello che più si addice a questa crisi, supportato in questo da Krugman! THE_GOOD_THE_BAD_THE_UGLY
BRAD nel suo post dal titolo “Time Not for a Bailout, But for Nationalization…” sostiene che è il momento di tre soluzioni:
a) non fare nulla
b) Paulson’s Bailout
c) Nazionalizzazione alla Svedese ( Saune svedesi è la mia versione )
Non fare nulla ha già portato alla Grande Depressione nel 1929 e quindi non resta
che scegliere! La nazionalizzaizone alla svedese ha la possibilità di evitare
grandi perdite anche per il contribuente ed elimina l’azzardo morale.
Brad prosegue poi con alcune ipotesi sul suo blog!
Sul Sole 24 Ore del 24 settembre trovate questo pezzo a cura di Alessandro Merli
per comprendere di cosa si tratti……
Hank e Ben imparano lo svedese. È solo il titolo di una nota della società di ricerca della City Lombard Street, ma Paulson e Bernanke potrebbero in effetti apprendere una lezione importante dalla soluzione adottata dalla Svezia per uscire dalla crisi bancaria del 1992.
Dalle prime indicazioni, il segretario al Tesoro Usa e il presidente della Federal Reserve non sembrano voler seguire quell’esempio, almeno in un elemento fondamentale: la Svezia non si limitò a rilevare la parte “cattiva” del bilancio delle banche in crisi, come si propongono le autorità Usa, ma di fatto azzerò il capitale nelle mani degli azionisti. Fu questa mossa a rendere politicamente accettabile il forte esborso di denaro pubblico (il 4% del Pil) per il salvataggio delle banche, ma forse in America una nazionalizzazione del
sistema bancario è politicamente indigeribile. A differenza del piano Usa come si configura finora, la soluzione svedese affrontò quindi non solo il problema dell’attivo “tossico”, ma anche quello della ricapitalizzazione, altrettanto urgente anche oggi in America. E per il quale sono state proposte soluzione diverse: dall’emissione di azioni privilegiate (Charles Calomiris)all’obbligo di ricapitalizzazione imposto agli attuali azionisti
(Raghuram Rajan) alla conversione forzosa di debito in azioni (Luigi Zingales). Alla crisi del 1992 la Svezia arrivò attraverso un percorso simile a quello americano: deregulation spinta del sistema finanziario, bolla immobiliare. I primi segnali di difficoltà arrivarono a fine 1991, ma la situazione del sistema bancario esplose quando, per difendere il cambio (coinvolto nelle turbolenze del settembre 1992 che travolsero lira e sterlina), la Banca
centrale alzò bruscamente i tassi d’interesse, provocando lo “sboom” immobiliare.
La Storia insegna sempre qualcosa a chi la sa ascoltare !
Sul SUSSIDIARIO James Charles Livermore condivide una bella analisi sulla Svezia degli anni ’90 confrontandola con il nostro Paese…
” Agli inizi degli anni ’90, la Svezia si trovava in una situazione familiare a chi oggi segue le notizie d’attualità: crescita debole, produttività in calo e crollo dell’export. A complicare il quadro, una bolla immobiliare, spesa statale fuori controllo e alto indebitamento pubblico. Vent’anni fa monitorare lo spread con il Bund non era ancora di moda, ma nel ‘92, quando il deficit primario raggiunse il 14% del Pil e la corona svedese si deprezzò del 15% sul dollaro, il governo di Stoccolma affrontò con efficacia quello che oggi appare come un presagio dell’attuale crisi europea.
Non trattandosi di una fiaba, anticipo che la storia non si conclude con un lieto fine: la Svezia è ancora segnata da problemi economici (alta pressione fiscale, apparato statale ingombrante) e non è ritornata ai livelli di benessere pre-crisi. Tuttavia, la gestione della recessione e l’interessante modello di crescita che ne risultò, rilanciano una questione di grande attualità: come possiamo uscire dalla crisi?
Iniziamo col dire che la ricetta svedese si divide in due fasi: l’emergenza e la ripartenza. La prima contempla il supporto pubblico alle banche e un’espansione monetaria a sostegno del debito pubblico e privato. Ossia, la politica che la Bce attraverso le Ltro ha attuato di recente, nonostante i veti di Berlino. La ripartenza, invece, prevede un cambiamento nei rapporti tra iniziativa privata e Stato, un esperimento che molti paesi europei oggi dovrebbero valutare con attenzione.
All’indomani della crisi, il neoeletto governo di Stoccolma decide per un cambio di rotta: salari, svincolati dai risultati d’impresa, e prestazioni sociali, pari al 22% del Pil, sono ancorati per la prima volta alla produttività e all’andamento del Pil. In parallelo, la pressione fiscale passa dal 62% al 57% del Pil (dati Ocse).
La mossa è da subito vincente: con il sistema del credito inceppato dalla crisi (suona familiare?), i risparmi delle imprese sono trattenuti in azienda per l’autofinanziamento. Segue un decennio di investimenti e ricerca ai quali ho avuto la fortuna di partecipare: agli inizi del 2000 mi trovavo nella contea del Götaland presso una piccola azienda creata da pochi mesi. L’impresa non si trovava in un garage (viste le temperature), ma al primo piano di un immobile che ospitava molte aziende di recente creazione. E in quello stabile ho avuto l’opportunità di osservare gli effetti di un’altra decisione presa anni prima, in piena crisi.
Tra il ‘91 e il ‘97, la Svezia ha speso almeno l’1% annuo del Pil in educazione, con un picco del 2% nel ‘97 (sono sempre dati Ocse). Tra questi capitoli di spesa, prestiti agevolati e borse di studio a studenti e dottorandi hanno giocato un ruolo importante (nel 2009, 2.8 miliardi di euro) e hanno prodotto risultati già nell’arco di due generazioni: nella fascia di popolazione tra i 25 e i 29 anni, in Svezia ci sono oggi più di 700 dottori di ricerca ogni 100mila abitanti, una delle più alte densità al mondo.
Enfasi e sottolineature da parte mia e spero che il messaggio arrivi visto che in molti mi chiedono soluzioni!
“I riflessi sul mondo dell’impresa si rilevano sfogliando il registro europeo dei brevetti: nel 1990 in Svezia si registravano 40 brevetti ogni milione d’abitanti. Dieci anni dopo, i brevetti erano diventati 107. Come metro di paragone, in Italia nel 1989 si registravano 65 brevetti ogni milione d’abitanti, oggi 12.
Questa serie di elementi può già condurci a due conclusioni. La prima è che, per quanto le circostanze possano mutare e farsi avverse, l’educazione si dimostra il più solido caposaldo su cui costruire il futuro delle persone e di un Paese. Nello specifico del lavoro, anche quando le imprese entrano in crisi, il percorso professionale di imprenditori, impiegati, dirigenti e artigiani non deve arrestarsi e può continuare assumendo rischi che, complice la crisi, vale la pena correre: per esempio, cercando nuove soluzioni a problemi vecchi e nuovi (con più produttività e brevetti).
La seconda conclusione è che rigore e disciplina sono efficaci quando sono al servizio di un progetto educativo, quando, cioè, impongono sacrifici per trasferire risorse a chi, apprendendo, può condurci fuori dal guado della crisi. Nel caso svedese, al sostegno del debito pubblico è seguito un periodo di tagli e austerità che ha permesso di liberare risorse da lasciare in impresa (autofinanziamento) o trasferire a ricerca e formazione.
In questo, lo Stato è sceso in campo solo per assicurare alle persone una copertura ai rischi più importanti e di lunga durata (cambi di carriera, dottorati di ricerca), ossia quelle mosse che non potevano essere lasciate in toto all’iniziativa dei singoli e delle imprese.
E meno male che lo Stato Sociale in Europa è morto come dice il buon Draghi, meno male che esiste solo il libero mercato come unica soluzione possibile!
TINA è ancora con noi insieme al fantasma di Margareth Thatcher icona dei liberisti o liberalisti di tutto il mondo, TINA There is not alternative! Benvenuti nel mondo della Consapevolezza!
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E’ stata spedita la nuova analisi dal titolo “STRONG BUY ITALIA” un viaggio nell’Italia che verrà, osservando le dinamiche che ci attendono nelle prossime settimane per gettare le basi per i prossimi anni.
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Il problema dei brevetti in Italia è devastante. Il problema non è nei pochi brevetti che gli Italiani possono creare, quanto nell’impossibilità di metterli in pratica e nella loro tutela. Sapendo che è quasi inutile, manca lo stimolo a presentarli.
Goldman Sachs e MONARCHIA ASSOLUTA!!!
http://it.finance.yahoo.com/notizie/romney-super-marted%C3%AC-vince-primarie-065000081.html
Ma se per la Grecia sono davvero 1000 miliardi, quanto sarebbe per Spagna, Portogallo, Irlanda?
http://it.finance.yahoo.com/notizie/costo-grecia-1000-mld-per-071900290.html
L’Irlanda propone il referendum sul fiscal compact.
http://www.forexinfo.it/Irlanda-referendum-sul-fiscal
L’Italia condannata a morte?
Il fascismo avanza…..
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Penso che come sempre bisogna capire, per esempio, cosa si intende per stato sociale, così come lo si conosce si dovrebbe chiamarlo stato parassitario e allora come non dar ragione a Draghi. In Italia una soluzione svedese la trovo difficile da attuare. Una volta azzerato il capitale che quotazione diamo a Generali e Mediobanca e alle finanziarie incrociate e parallele e dalle fondazioni quante proteste si solleverebbero. Il problema principale poi lo si riscontrerebbe a chi dovrebbe guidare le nuove banche. Tecnici o politici e nominati da chi, dai politici? Mi sembra di capire che ciò che di positivo la storia insegna non venga preso come esempio, l’italia non è capace di assicurare è capace di proteggere, di proteggere persone meritevoli di nulla e ad essere troppo protettivi come risultato otteniamo persone immature, e mi sembra che in italia non manchino anzi…….