GUEST POST : LA GERMANIA BLOCCA IL FISCAL COMPACT!

Scritto il alle 10:42 da icebergfinanza

Probabilmente a molti sarà sfuggita e non sono poi molti i giornali, anzi nessuno o quasi quelli che hanno riportato la notizia…

BERLINO Uno schiaffo alle politiche europee di Angela Merkel è arrivato ieri dal Bundesrat, il Senato dei Laender, che ha bloccato il fiscal compact. Una mossa politica, in piena campagna elettorale (in Germania si vota il 22 settembre). L’opposizione, rappresentata da socialdemocratici e verdi, ha approfittato della maggioranza nella seconda Camera, conquistata da poco con le amministrative in Bassa Sassonia, per imbarazzare la cancelleria.  Il ministro delle Finanze Wolfgang Schaeuble ha subito invitato alla «responsabilità» nei conforti dell’eurozona. In realtà, i Laender approfittano del valore centrale del patto di bilancio che Angela Merkel ha voluto in Europa, per mettere i loro «paletti» e chiedere soldi. In cambio del carico finanziario del fiscal compact, le Regioni vogliono fra i 2,5 e i 3,5 miliardi di euro all’anno, tra il 2014 e il 2019. A questo punto si aprirà una trattativa in una Commissione di mediazione tra governo e regioni. Martin Kotthaus, portavoce di Schaeuble ha aspramente criticato l’atteggiamento del Bundesrat, concludendo: «Faccio appello alla responsabilità del Senato federale rispetto alla politica europea e spero che si trovi presto la possiblità di un accordo». Anche il ministro degli Esteri Guido Westerwelle ha bollato la decisione del Bundesrat come «deplorevole».  Il ministro presidente della Renania-Palatinato, Karsten Kuehl, socialdemocratico, respinge le accuse: la decisione «non ha niente a che fare con un tentativo di ostruzionismo; noi vogliamo certezze nella programmazione». Le risorse rivendicate serviranno ai Laender per la costruzione di strade comunali, scuole superiori, spazi per bambini ed edilizia civile.  Non è la prima volta che il fiscal compact è a rischio proprio nel Paese che più lo ha voluto in Europa: impugnato da diversi oppositori di Frau Merkel fu oggetto di una verifica dell’alta Corte di Karlsruhe, che poi diede il faticoso via libera lo scorso autunno. Larena

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La notizia è passata in sordina, ma i promotori del Fiscal compact sono stati gli unici ad aver respinto l’approvazione delle misure orientate al rigore. La Merkel ora dovrebbe guardare in casa propria. 

IL GRAN RIFIUTO – Ad inizio marzo, nel silenzio generale, il Bundesrat tedesco (molto simile al nostro Senato) ha rimandato alla Commissione di mediazione il Fiscal compact proposto dal governo Merkel, bocciato grazie al voto contrario della coalizione rosso-verde composta da SPD e Verdi. La notizia ha dell’incredibile, ma, contrariamente alle aspettative non ha ricevuto alcuna eco mediatica. Ora la Commissione di mediazione sarà tenuta a far convergere gli obiettivi di lungo periodo delle due camere per raggiungere un compromesso ed adeguarsi alle direttive europee. Immediatamente dopo la votazione i Länder (Stati-regioni tedeschi) hanno dato vita ad una vera e propria offensiva contro il governo dell’austerity richiedendo l’introduzione di un salario minimo di 8,50 euro l’ora e l’apertura di un fondo che raccolga 3,5 euro l’anno destinato ad essi, in opposizione all’ Hartz IV. Fino a alle prossime elezioni dunque la Germania non entrerà nel Fiscal compact, a differenza dell’Italia, che senza fiatare ha approvato l’imposizione della cancelleria europea. Ora più che mai la posizione di Angela Merkel si complica, stretta da un lato dall’Unione Europea, e dall’altro da un’opposizione politico sociale crescente e che rischia di condannarla ad una sonora debacle politica.

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IL FISCAL COMPACT – Viene da ridere al pensiero che il Fiscal compact (nome informale dato al Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell’Unione economica e monetaria) sia stato sostenuto a lungo dai paesi più virtuosi d’Europa, ed in primis dalla Germania, come “contropartita tecnica” per accedere ad un altro trattato, lo European Stability Mechanism (Esm), meglio noto come Fondo Salva Stati. L’accordo fiscale entrato in vigore il 1° gennaio 2013 ha come scopo la stabilità dell’euro, ma cosa prevede nel dettaglio? L’articolo 3.1 costituisce il cuore della riforma e afferma che «il bilancio delle amministrazioni pubbliche deve essere in equilibrio o in avanzo; questa regola si considera soddisfatta se il deficit strutturale annuale delle amministrazioni pubbliche risulta inferiore allo 0,5% del Pil. I paesi devono garantire una convergenza rapida verso questo obiettivo. I tempi di questa convergenza verranno definiti dalla Commissione. I paesi non possono discostarsi da questi obiettivi o dal loro percorso di aggiustamento se non in circostanze eccezionali. Un meccanismo di correzione è avviato automaticamente se si individuano forti divergenze; ciò comporta l’obbligo di adottare misure volte a correggere queste deviazioni in un periodo determinato». Prendiamo in esame il caso italiano. Il nostro debito pubblico ammonta a circa 2.000 miliardi, ed il rapporto debito/Pil è parti al 126%. Per arrivare al 60% imposto dal Fiscal Compact come dovremmo comportarci? Per evitare di incorrere in sanzioni dall’Unione Europea, sarebbe necessario, in linea teorica, ridurre il rapporto del 3% per i prossimi vent’anni. Quantificando, si tratta di ridurre il debito di 50 miliardi all’anno, una cifra poco ragionevole durante periodi di crescita, figuriamoci in una fase di ampia recessione. Nell’ultimo decennio il “bel paese” è stato peraltro il fanalino di coda europeo per quanto riguarda lo sviluppo economico e la crescita del Pil. L’adesione al Fiscal compact ora ci vincola a ridurre la spesa pubblica ed aumentare le entrate per risparmiare questi benedetti 50 miliardi, e per farlo purtroppo  non esiste altro mezzo se non la tassazione. Nessuna novità in questo senso, Monti ha  fatto la sua parte obbedendo fedelmente al volere degli oligarchi europei e piegandosi ai desideri della Merkel prima di lasciarci un’eredità pesante. L’aumento della tassazione e la riduzione della spesa pubblica oltre che delle misure destinate al welfare e alle politiche sociali, stanno provocando un crollo della domanda e dei consumi che sta spingendo letteralmente nel baratro in primis i lavoratori, e subito dopo le imprese. Pensare di migliorare il destino di un’Europa marcia e  anarchica in tal senso è utopistico e assurdo, ma i nostri politici, distratti dalle loro poltrone non se ne sono resi conto. Dunque che peso ha in tutto questo scenario il gran rifiuto della Germania al patto fiscale?

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IL SACCO D’EUROPA – Una volta la Germania era considerata il “sick of Europe“, una pedina di scarsa importanza nello scacchiere dell’Unione rispetto ad altri paesi più piccoli ma che apparivano grandi come giganti. In un decennio la situazione si è invertita e i nostri nemici calcistici si sono trasformati in una potenza economica apparentemente virtuosa, modello indiscusso di rigore ed efficienza economica.

Da allora, complice la crisi, italiani, spagnoli, greci e portoghesi sono diventati gli ultimi della classe, quelli ignorati dall’insegnante anche se alzano la mano. La Germania invece ha ottenuto la cattedra per i suoi meriti ed ha potuto dire la sua senza essere giudicata da nessuno, perché sedeva lei dietro la cattedra. Così siamo stati costretti ad eseguire i compiti anche se malvolentieri, abbiamo accettato un premier scelto a tavolino dalla Bce, ratificato il fiscal compact,e ci siamo legati le mani almeno per i prossimi vent’anni. Al contrario la Germania se ne è fregata dei dicktat europei che lei stessa aveva proposto, ed ora si trova a poter applicare politiche economiche che nessun altro paese tra quelli che hanno ratificato il Fiscal compact potrà mai più attuare. Alla faccia nostra!

La notizia ha dell’incredibile, eppure non ne ha parlato nessuno. I media, come i saloni di destra e di sinistra sono probabilmente ancora troppo presi dai loro bisticci post elettorali per poter dare il giusto peso a quello che un mese fa è successo in Germania. Avevamo deciso di non parlarne nell’immediato per poter trarre conclusioni migliori da quelle reazioni che ci saremmo ovviamente aspettati. E invece nulla di tutto questo è avvenuto, perché nessuno ha saputo. L’Europa continua a viaggiare a due velocità, ma il senso di sfiducia tra i paesi dell’Unione è tangibile e rischia di degenerare. Fino a che punto l’Europa riuscirà a viaggiare unita senza perdersi nessun vagone?

Mi raccomando continuate a parlare del sesso degli angeli Berlusconi e Bersani, delle quirinarie o delle vie urinarie, sino a quando non comprenderemo che la partita decisiva si gioca in Germania e in Europa non avremo via di scampo!

In settimana per tutti coloro che hanno sostenuto o vorranno sostenere liberamente  il nostro viaggio in arrivo una nuova importante puntata di  ” Machiavelli e il pilota automatico” orizzonti e visioni per i prossimi due mesi.

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