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ECONOMIA CIVILE… MONDI ALTERNATIVI!

Scritto il alle 07:32 da icebergfinanza

Comincia oggi un nuovo viaggio attraverso un’oceano sconfinato di opportunità che si nascondo dietro un nuovo mondo di concepire l’economia e il lavoro, sistemi alternativi e complementari, modelli aziendali che nel loro insieme non sono altro che la sintesi di un sistema di economia civile che caratterizza la nostra realtà nazionale fatta di imprese familiari, piccole e medie imprese, imprese sociali, cooperative e il cosidetto terzo settore, un mondo che vale oltre i due terzi dell’intera economia nazionale, sia in termini di occupazione che in termini di produzione….

Come abbiamo più volte visto insieme nel corso degli ultimi sei anni, Yunus dice che ……”Ho come la sensazione che l’economia basi le sue leggi su presupposti che ignorano gli esseri umani. L’economia tratta gli uomini e le donne come macchine e nega gli elementi essenziali della natura umana. L’economia prevede solo due attori sulla scena: gli imprenditori e i lavoratori. E considera gli imprenditori come persone dalle capacità eccezionali. Sono state create istituzioni che difendono solo questa casta. E così sono state ignorate le potenzialità della gran massa dell’umanità. L’economia ama definirsi come una scienza sociale. Non lo è: l’economia parla di lavoro e di manodopera. Non parla d’uomini, donne e bambini. Una scienza che vorrebbe essere sociale non può ignorare l’ambiente che pretende di analizzare>>.

“Siamo tutti convinti, in qualche modo, che l’economia capitalista può funzionare solo se spinta dal principio dell’avidità. È una profezia che si avvera. Solo chi punta ai massimi profitti ha un ruolo nell’economia di mercato. Sono convinto profondamente, e l’esperienza di venti anni di lavoro di Grameen me lo conferma, che l’avidità non sia l’unica molla per la libera impresa. L’impegno per raggiungere obiettivi sociali può avere una forza propulsiva pari, se non superiore, a quello spinto dall’avidità. Aziende che ispirano il proprio lavoro alla soddisfazione di finalità sociali, possono diventare formidabili concorrenti delle aziende private ispirate solo al profitto”.

Incominciamo oggi dal significato di “Economia civile” partendo dalla sintesi che ci offre Donato Didonna nel suo blog…

Così come la democrazia è comunemente ritenuta la migliore forma di governo che conosciamo, l’economia di mercato è il modello economico più efficiente che conosciamo per ottimizzare il rapporto tra domanda e offerta di merci e servizi, misurato com’è dal profitto. Fino a ventidue anni fa conoscevamo anche un altro modello, quello dell’economia pianificata del c.d. socialismo reale, ma questo modello è scomparso dalla faccia della terra senza neanche tanti rimpianti.

L’economia di mercato, in realtà, non dispone di uno solo, bensì di almeno tre modelli economici: quello liberista di stampo anglosassone, quello sociale di matrice tedesca e quello civile di origine italiana, anche se tendiamo a dimenticarcene per provinciale esterofilia e soprattutto per gli interessi legati all’impresa di tipo capitalistico.

Ho partecipato ieri sera, nell’aula magna della facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Palermo, a un’interessante e affollato incontro con il prof. Stefano Zamagni dell’Università di Bologna sul tema: “La dignità del lavoro, valore non negoziabile”.

Per Zamagni l’impresa capitalistica e quella sociale o civile non sono alternative, ma complementari. Il sistema capitalistico, specie nell’attuale fase di jobless growth (crescita senza creazione di posti di lavoro) dovuto all’uso delle tecnologie, digitali e non, non vive come prioritario il problema della piena occupazione, anzi presuppone un livello fisiologico e costante di disoccupazione mentre l’impresa civile intende il lavoro come un fine e non solo come un mezzo o un fattore della produzione.

La soluzione che Zamagni propone per affrontare efficacemente la grave crisi occupazionale che stiamo attraversando, forte anche dell’esperienza maturata alla presidenza dell’Agenzia per il terzo settore, è a costo zero attraverso l’estensione alle imprese c.d. sociali o civili dei benefici già previsti per le Onlus. Questa misura si aggiungerebbe a quelle del governo Monti, in tema di sviluppo, attraverso le liberalizzazioni, la semplificazione degli adempimenti e la costituzione di società di capitali con soci under 35.

Cos’è un’impresa civile? L’Italia si è dotata di una legislazione avanzata attraverso il D.Lgs. 155 del 2006 sulle imprese sociali stabilendo all’art. 2 quali siano le attività a rilevanza sociale. Questo settore che opera nell’ottica della produzione, non della redistribuzione del reddito, si svilupperebbe senza oneri per lo Stato se solo, come già detto, fossero riconosciute le stesse prerogative delle cooperative sociali e delle Onlus quando agiscono come imprese.

Si tratta di una rivoluzione culturale che presuppone altri due capisaldi: la rivalutazione della dignità del lavoro manuale rispetto a quello intellettuale (“se non studi ti mando a lavorare” è la tradizionale minaccia delle famiglie italiane che sottintende che lo studio non sia già un lavoro mentre il lavoro manuale sia invece una condanna, con la conseguenza che i nostri disoccupati intellettuali sono i meno propensi – in Europa – ad accettare una, sia pur transitoria, occupazione manuale) e l’armonizzazione tra lavoro e famiglia che in Italia ha portato alla minore fertilità femminile pur con la più bassa quota di partecipazione femminile al mondo del lavoro: un’assenza che ha privato questo mondo della naturale maggiore attenzione della donna al senso dell’equità e alla ricaduta sociale del proprio impegno.

In conclusione Zamagni ha affermato che i modelli improntati alla razionalità delle leggi di mercato e all’efficienza produttiva devono bilanciarsi con quelli ispirati alla “solidarietà fraterna” in modo da consentire, attraverso il lavoro vissuto come fine e non come mezzo, lo sviluppo integrato della persona attraverso il soddisfacimento dei suoi bisogni materiali, socio-relazionali ed esistenziali. L’incentivo alla promozione di imprese sociali potrebbe portare alla nascita di 50.000 nuove imprese con una ricaduta occupazionale di 500.000 nuovi posti di lavoro che sorreggerebbero il Pil.

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4 commenti Commenta
ilcuculo
Scritto il 18 Novembre 2012 at 11:26

In Italia , ma anche in molti altri paesi , c’è un tasso di partecipazione troppo basso, quel che viene definito il P2P ratio (payroll to population).

In effetti l’economia di molti paesi occidentali mostra come la produzione dei beni e servizi necessari possa essere prodotta da una percentuale minoritaria della popolazione.

Ma se questo , come appare, è vero, quali sono le conseguenze socio economiche e quale modello sociale può risultare sostenibile?

Il modello in cui i pochi che producono sopportano un carico fiscale abnorme per tenere in piedi il costo sociale di un welfare in grado di mantenere chi non produce non funziona nell’ambito di un’economia mondializzata dove paesi che procedono in condizioni di dumping sociale, previdenziale ed ambientale (creando una futura insostenibile unfounded liability, ma nessuno lo vuole ammettere) riescono ad avere un livello di competitività tale da mettere questo modello fuori mercato prima di partire.

Non può funzionare neppure un modello protezionistico perch, in assenza (effettiva) di una autosufficienza economica molte economie come la nostra verrebbero presto tagliate fuori dall’accesso alle materie prime.

Del resto non possiamo neppure pensare che possa funzionare un’economia Darwiniana con milioni di disoccupatir privi di reddito ed esclusi dal ciclo economico perchè questo porta rapidamente tutto il ciclo economico al rallentamento ed alla paralisi. Abbiamo visto che in Europa un 2012 con due paesi come Italia e Spagna (100 milioni di persone, quasi 1/3 della popolazione dell’eurozona) che riducono drasticamente i consumi sta trascinando in recessione anche la Germania.

Quindi il problema a cui trovare una soluzione è il seguente: se la produzione dei beni e servizi necessari può essere realizzata da una ridotta percentuale della popolazione come possiamo creare una economia in equilibrio, aumentando effettivamente il valore prodotto affinchè da questo valore discenda il benessere delle persone?

E’ abbastanza chiaro che l’uso della leva fiscale è dirimente. ma anche la possibilità di favorire quegli investimenti e servizi che aumentano la competitività di un sistema produttivo sono fondamentale.

Chi produce deve essere messo al centro di un processo di facilitazione che lo renda competitivo sui mercati.

E questo coinvolge tutto il sistema in una crescita virtuosa. Il lavoro deve essere meno tassato e questo si può fare solo con un tasso di partecipazione più alto. Gli investimenti devono essere defiscalizzati, il lavoratore deve essere accompagnato da strumenti di supporto efficaci che gli permettano di concentrarsi sulla propria attività.

L’elenco è il solito: trasporti efficienti, asili nido, scuole con orari ben organizzati, strutture territoriali per la cura di anziani e disabili, poca burocrazia con controlli ax post (non ex ante) efficaci…

Far funzionare il sistema produttivo in modo competitivo crea la ricchezza che può pagare i servizi che la rendono competitiva in un circolo virtuoso.

Da dove si parte: da 3 punti

Diponibilità dei proprietari dei mezzi di produzione ad accettare margini inferiori
Disponibilità dei detentori di capitali a metterli in circolazione in cambio di interessi più bassi
Disponibilità delle persone a “lavorare veramente”

icebergfinanza
Scritto il 18 Novembre 2012 at 13:16

ilcuculo@finanza,

La sintesi e’ molto semplice! Un modello economici ha fallito fallito e ancora fallito! Si prende il meglio di questa esperienza fallimentare e la si integra con un nuovo sistema economico che sostituisce l ‘obiettivo del profitto del bene assoluto con la soddisfazione della persona e il bene comune! Chi vuole capire bene gli altri verranno spazzati via dalla storia e dalla rabbia sociale!

kry
Scritto il 18 Novembre 2012 at 14:09

Grazie Andrea, sono contento di trovare nel post pensieri di cui avevo scritto non molto tempo fa:8 novembre 2012 alle 17:20
………………………………………………….. Io penso che il lavoro così come lo conosciamo non esisterà più. In un mondo dove già adesso siamo in sovrapproduzione , con una tecnologia che giustamente non si ferma e che comunque riduce la forza lavoro umana con decenni di crescita legata allo sperpero penso che siamo arrivati allo stop. Il problema maggiore e che gli stati e molti privati sono indebitati, indebitati verso un sistema bancario che ha creato dal nulla denaro virtuale e gli interessi per questi debiti sono stati trasferiti dall’economia reale. La finanza fa parte dell’economia ma fino a quando la finanza la farà da padrona e soprattutto influenzerà a proprio piacimento l’economia abbiamo voglia di trovare delle soluzioni utili per tutti o anche solo per quelli che ancora hanno buona volontà di fare. Ciao. Chi è curioso e vuol capire la dinamica del pensiero questo è il post http://intermarketandmore.finanza.com/italia-la-competitivita-questa-sconosciuta-50706.html
ilcuculo@finanza,

Diponibilità dei proprietari dei mezzi di produzione ad accettare margini inferiori: lo stanno già facendo altrimenti avrebbero già chiuso il problema è che chi rimarrà si troverà costretto a lavorare per qualche multinazionale o marchio. Disponibilità dei detentori di capitali a metterli in circolazione in cambio di interessi più bassi: lo stanno già subendo sia per scelta delle banche centrali che per riduzione dei profitti aziendali. Disponibilità delle persone a “lavorare veramente” si tutte e soprattutto magari i sidacati facendo proprio “La dignità del lavoro, valore non negoziabile”.
icebergfinanza,

Che dire perfetto,poche parole quasi meglio dell’intero post. Magari un giorno ci dici di questo sistema fallimentare cosa resta di buono. Di nuovo grazie.

luigiza
Scritto il 18 Novembre 2012 at 16:17

kry@finanza,

Magari un giorno ci dici di questo sistema fallimentare cosa resta di buono.

Qualcosa di buono in effetti c’è stato, ma molto di più e di marcio deve essere eliminato per poter ricominciare come ben descritto in questo articolo apparso su Rischio Calcolato:

Oligarchia finanziaria

Consiglierei anche di dare una occhiata al video segnalato dal lettore che ha postato un commento prestando attenzione alle parole ivi pronunciate (e non al personaggio che le pronuncia).
Sembrano molto attuali tanto da farmi temere che la Storia si stia ripetendo in un ridicolo lasso di tempo pari ad una settantina d’anni circa.

Se poi le speranze di Andrea si realizzeranno sarò il primo ad esserne felice.
Ma é un grosso SE perchè coloro che al momento guidano ben difficilmente molleranno l’osso.

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