Mentre in Siria l’abbattimento di un jet russo da parte della Turchia e la successiva distruzione di un elicottero mandato in soccorso da parte dei ribelli siriani torna ad inescare la miccia di un nuovo conflitto in Medioriente, noi continuiamo ad occuparci dell’economia mondiale che continua a dare ampi cenni di cedimento e continue esplosioni deflative e soprattutto del momento cruciale che precede le decisioni delle banche centrali europea e americana nelle prossime settimane.
Mentre in America tutti sembrano certi del primo rialzo dei tassi dopo secoli, in Inghilterra dove il rialzo era dato per certo all’inizio dell’anno….
LONDRA, 24 novembre (Reuters) – A parere del governatore di Banca d’Inghilterra resta ancora da fare chiarezza sui tempi di una stretta sul costo del denaro rispetto agli attuali minimi storici. “Mi chiedo quale sia il momento appropriato per un rialzo dei tassi di interesse, si tratta di una mossa strettamente correlata alla forza dell’economia interna” spiega Mark Carney al parlamento. L’istituto centrale britannico ha sorpreso la maggioranza degli investitori a inizio novembre, segnalando di non avere alcuna esigenza di accelerare la politica rialzista.
UK inflation below zero for second month
Non solo secondo Haldane della BOE…
” La banca centrale deve essere pronta a tagliare i tassi di interesse, se necessario, e una “terza fase” della crisi finanziaria globale, proveniente dai mercati emergenti, potrebbe avere un impatto prolungato sulla crescita mondiale…”
Ma certo in America stanno per alzare i tassi, nessun rischio, va tutto bene e i profitti delle corporation non sembrano davvero su una traiettoria che continua a sostenere massimi storici nelle quotazioni…
Tornando al dato, si segnala un indebolimento dei conti aziendali. I profitti alnetto delle tasse, esclusa la valutazione delle scorte e gli aggiustamenti sul capitale, sono calati del 3,2% rispetto al secondo trimestre, il ribasso maggiore dal quarto trimestre 2014. Su base annuale, sono cresciuti dell’1,4%, contro il +8,5% anno su anno del secondo trimestre.
L’inflazione core per spese al consumo resta lontana anni luce dall’obiettivo del 2 % siamo appena al 1,3 %
Ve lo ricordate il periodo tra la fine del 2013 e l’inizio del 2014 quando il tasso sul trentennale americano era intorno al 4% e quello sul decennale intorno al 3% e in coro le banche d’affari prospettavano un rialzo rispettivamente sino al 5,5 % e al 4 % per la fine del 2014.
Quello che è accaduto lo sapete…
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Tra le tante leggende metropolitane che attraversano i mercati quella più isilarante ogni anno è quella che riguarda la fine dell’obbligazionario, lo scoppio della più grande bolla delal storia.
Anche all’inizio del 2015 erano in tanti quelli prevedevano chissà quale rialzo dei tassi…
Dal 3,5 % al 2,9 % per il decennale e siamo ancora al 2,26% per non parlare del trentennale che non riesce a superare la linea Maginot della Storia neanche con l’immaginazione…
Un fallimento dietro l’altro sistematico, nessuno che abbiamo compreso sino in fondo quello che sta accadendo.
Non c’è giorno, settimane o mese che passa senza che qualche pappagallo suggerisca di stare attenti al mercato obbligazionario, che la grande bolla sta per scoppiare. Su una cosa siamo d’accordo, la bolla high yield troverà forse l’ultimo carburante nel QE numero quattro in America ma poi sarà una strage annunciata.
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Come accadde alla fine del 2013 quando gli analisti di Goldman Sachs suggerivano di fuggire dai treasuries e dal dollaro, i bei tempi stanno tornando, anche ora suggeriscono almeno altri 100 punti base di aumento tassi nel 2016…
“The Federal Reserve looks likely to begin raising short-term interest rates next month, seven years after cutting them to zero. … Based on our economic forecasts, we currently expect the committee to raise the funds rate by 100bp next year, or one hike per quarter—a fair amount above the 55-60bp pace priced into the bond market. Admittedly, we see the risks to this forecasts as skewed to the downside at the moment. The pace of rate hikes will depend on progress toward the FOMC’s employment and inflation goals, as well as evolving views on the level of equilibrium interest rates.”
Se qualcuno pensava davvero che un dollaro forte fosse una delle preoccupazioni principali della Federal Reserve ci ha pensato la bella Gita Gopinath della Havard University a mettere le cose al suo posto con un paper davvero interessante The Fed’s Dollar Distraction
Lascio a Voi la curiosità di leggere per quale motivo il rafforzamento del dollaro nel breve termine non incide più di tanto sulla dinamica dell’inflazione a me interessano queste ultime considerazioni…
L’impatto delle variazioni dei tassi di cambio sull’inflazione nella maggior parte dei paesi (emergenti) è quindi 3-4 volte più grande negli Stati Uniti. Un deprezzamento del 10% della lira turca, per esempio, farebbe aumentare l’inflazione dei prezzi al consumo cumulativo da 1.65 a 2.03 punti percentuali, nel corso di due anni, tutto il resto è uguale.
Nonostante questo squilibrio, è difficile che cambi il dominio del dollaro USA come valuta di fatturazione è improbabile che cambi in tempi brevi – anche perché un eventuale cambiamento richiederebbe il coordinamento tra un gran numero di esportatori e importatori di tutto il mondo. L’euro potrebbe sembrare un concorrente forte, dato il volume degli scambi tra i paesi della zona euro; ma, al di fuori dell’Europa, la moneta non viene utilizzata quasi mai ampiamente come il dollaro.
Nel decidere quando normalizzare i tassi di interesse, la Fed ha messo un peso considerevole sulla debolezza dell’ inflazione, e le sue basi globali. Ma se è vero che alcuni sviluppi a livello mondiale – in particolare il calo dei prezzi delle materie prime, e forse anche un rallentamento della crescita dell’economia dei paesi emergenti e l’aumento della volatilità finanziaria – possono spingere verso il basso l’inflazione, l’apprezzamento del dollaro no, almeno non in modo significativo. Un dollaro più forte non è quindi un motivo legittimo per ritardare la normalizzazione dei tassi di interesse negli Stati Uniti.
Anche Anatole Kaletsky ci dice che l‘imminente rialzo dei tassi degli Stati Uniti è forse il più prevedibile, e previsto, evento nella storia economica.Don’t Fear a Rising Dollar
E’ importante osservare come il mercato è un oceano immenso dove i pareri sono tante piccole gocce che vanno ognuna in diverse direzioni, formando correnti di pensiero che non necessariamente sono quelle giuste, quelle che portano alla meta.
Kaletsky ricorda che questa paura di un dollaro più forte è il vero motivo di preoccupazione, al confine del panico, in molte economie emergenti e al FMI. Un significativo rafforzamento del dollaro probabilmente causerebbe seri problemi per le economie emergenti, dove le imprese e i governi hanno contratto enormi debiti denominati in dollari e la svalutazione della loro moneta minaccia di andare fuori controllo.
Secondo Anatole, il consenso del mercato per quanto riguarda l’inevitabile ascesa del dollaro come quella dei tassi di interesse USA è quasi certamente sbagliato, per tre ragioni.
In primo luogo, la divergenza delle politiche monetarie tra gli Stati Uniti e le altre principali economie è già universalmente compresa e prevista. Così, il differenziale del tasso di interesse, come l’escursione dei tassi degli Stati Uniti dovrebbero essere già prezzati nella valuta.
Inoltre, la politica monetaria non è l’unico fattore determinante che influenza i tassi di cambio.(…)
Infine, la correlazione ampiamente ipotizzata tra la politica monetaria e valori della valuta non regge a un esame empirico. In alcuni casi, le valute si muovono nella stessa direzione della politica monetaria – per esempio, quando lo yen è sceso in risposta al QE della Banca del Giappone nel 2013. Ma in altri casi succede il contrario, per esempio, quando l’euro e la sterlina si sono rafforzati dopo che le loro banche centrali hanno iniziato il quantitative easing.
Per gli Stati Uniti, le prove sono state molto contrastanti. Guardando la stretta monetaria che ha avuto inizio nel febbraio 1994 e giugno 2004, il dollaro si è rafforzato notevolmente in entrambi i casi prima del primo rialzo dei tassi, ma poi si indebolito di circa l’8% (come misurato dal indice del dollaro della Fed), nei successivi sei mesi.
Io nel grafico qui sotto trovato su internet vi ho aggiunto anche l’episodio del 1977…
In sintesi Anatole suggerisce che negli ultimi due casi quando è iniziato il ciclo di inasprimento dei tassi in America si è rivelato il classico esempio di” Buy the Rumor, Sell the News”
Naturalmente, la performance passata non è garanzia di risultati futuri, e due casi non costituiscono un campione statisticamente significativo. Solo perché il dollaro si è indebolito per due volte nel corso degli ultimi due periodi di Fed inasprimento non dimostra che la stessa cosa accadrà di nuovo conclude Kaletsky.
Non abbiamo idea di come finirà, quello che è certo è che siamo sempre aparti ad ogni dinamica o soluzione e quindi non escludiamo mai nulla!
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Ciao Andrea , scusa il titolo cos’è ?
CHE PALLE.
Ciao.