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IL VALORE DELLA FIDUCIA NELL'ECONOMIA E NELLA FINANZA!
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Ma come direte Voi, questo post è già stato pubblicato precedentemente, l’ho già letto!
Nel post che troverete dopo questo, ma postato prima dal titolo "Rating delle mie brame, dove stà il vero valore del reame?" si parla di rating che in finanza corrispondono alla "fiducia" che la valutazione di un gruppo di analisti dà ad una nazione, un’azienda, uno strumento finanziario etc. Ovviamente vi sono anche coloro che investono sulla base di queste valutazioni, che in teoria hanno fiducia in queste analisi.
Potrebbe sembrare blasfemo parlare di fiducia nel mondo finanziario, ma credetemi la fiducia, che sia nei rating emessi, negli strumenti, nelle istituzioni finanziarie e di controllo insomma negli attori dei mercati è tutto. Senza di essa come nella Vita non abbiamo nessun Destino!
Andrea
http://icebergfinanza.splinder.com/tag/rischi_derivati
“Lo spirito in ognuno di noi si manifesta negli occhi, nell’espressione e in tutti i movimenti e i gesti del corpo. Il nostro aspetto, le nostre parole, le nostre azioni non sono mai più grandi di noi stessi. Giacché è l’anima la nostra dimora, gli occhi ne sono le finestre e le parole i messaggeri.”
(Kahlil Gibran)
La fiducia in una persona nasce talvolta dalle espressioni, dai movimenti, dalle sue parole, dalla sua storia, dall’esempio e dalla sua coerenza, ma talvolta la fonte primaria di questa fiducia sono gli occhi, lo specchio dell’Umanità.
PARTHA DASGUPTA: CAPITALE SOCIALE COME ISTITUZIONE
ECONOMICA CHE GENERA FIDUCIA RECIPROCA
Nell’analisi dell’economista di origini indiane i meccanismi non coercitivi
che garantiscono l’osservanza dei patti e il rispetto dei contratti
L’onore e l’onere di dare il via alla seconda edizione del festival dell’Economia,
dopo la cerimonia di inaugurazione, sono spettati a “sir” Partha Dasgupta,
docente di economia a Cambridge, con alle spalle una solidissima formazione
anche nelle cosiddette “scienze esatte” (Fisica e Matematica) e la capacità di
spaziare, nella sua analisi, su una molteplicità di tematiche, come illustrato nella
sua introduzione da Marzio Galeotti, docente di economia politica all’Università di
Milano.
L’argomento della sua lezione era il capitale sociale, un concetto di per sé
difficile, “evanescente”, del quale ha proposto innanzitutto una definizione
precisa: il capitale sociale è costituito dalle reti interpersonali, dai rapporti che le
persone stabiliscono e che consentono di ottenere un bene o di raggiungere un
determinato obiettivo. Il problema principale di ogni rapporto è la fiducia: che si
tratti di scavare un pozzo per il villaggio, di mettere assieme le forze per
raggiungere un risultato politico, di stipulare un accordo commerciale o
un’assicurazione o di contrarre un matrimonio, alla base di tutto è necessario che
le parti si fidino l’una dell’altra.
Da questo punto in poi l’analisi del professor Dasgupta si è concentrata sulle
quattro modalità che consentono di generare e di mantenere la fiducia. La prima
è quella che si sviluppa nel contesto familiare: lì il fattore fondamentale è l’affetto
reciproco. Tutti i soggetti coinvolti manterranno la parola data perché deludere il
partner procurerebbe loro una sofferenza. Ma com’è ovvio tutto ciò vale per
contesti molti limitati.
La seconda modalità è comportamentale: si suppone che le persone –
contrariamente alle teorie sull’”uomo economico”, orientato solo alla
massimizzazione dell’interesse individuale – siano naturalmente portate a
rispettare la parola data. L’obiezione più forte qui è: non tutti siamo uguali, non
tutti siamo ugualmente disinteressati, non tutti abbiamo la stessa soglia di
“corruttibilità”.
Rimangono quindi altre due possibilità. La prima è quella che sta alla base dello
Stato di diritto, per cui è un’autorità esterna a garantire il rispetto dei patti. Può
trattarsi del capovillaggio piuttosto che dello Stato con il suo potere coercitivo, sta
di fatto che chi viola il patto giuridico o il contratto stipulato riceverà una
punizione. Qui il problema è: perché le parti dovrebbero fidarsi dell’autorità
esterna, che dopotutto è una costruzione umana, e quindi non è né infallibile né
incorruttibile? Molti Stati ad esempio non rispettano la legge, quindi non appaiono
ai cittadini come soggetti degni di particolare fiducia.
Resta quindi la quarta possibilità: l’esistenza di norme sociali che garantiscono
l’attuazione reciproca dell’accordo. Le norme sociali sono, per usare la definizione
di Dasgupta, “fatti condizionanti che tutti seguono”. Possono essere anche
semplici convenzioni o abitudini, che ognuno segue e rispetta perché presuppone
che tutti gli altri lo facciano. Al tempo stesso, le norme sociali garantiscono anche
il perseguimento dell’interesse personale: esse infatti fanno sì che ciascuno, ad
esempio, si impegni ad aiutare gli altri membri della società, nella convinzione
che quando ne avrà bisogno potrà a sua volta contare sull’aiuto degli altri.
Tutto questo funziona in una società che ha vita lunga e che scommette nel
futuro. Non funziona in società che hanno vita breve o sono troppo mobili.
Naturalmente tutte e quattro queste modalità hanno la loro ragion d’essere, in un
modo o nell’altro, e a seconda dei contesti nei quali si manifestano. Ma la
sottolineatura di Dasgupta riguarda in particolare la quarta, quella basata sulle
norme sociali. Ciò soprattutto in relazione alla terza, quella che pone l’accento
sullo Stato di diritto; esso è infatti importante, e tuttavia non esaurisce il
problema della fiducia, considerato che, in ultima analisi, chi controlla i
controllori? Capitale sociale è quindi, in questa accezione, il rapporto di fiducia
reciproca che si crea all’interno di una società per effetto di norme socialmente
condivise. In altre parole, l’insieme di valori e di comportamenti su cui si fonda
una comunità, che va coltivato, custodito e rafforzato.
Questo il comunicato stampa del Festival, ma credo che questo concetto, il “Capitale Umano” per quanto astratto possa sembrare in un ambiente dove contano i numeri e i rapporti costi/benefici sarà uno dei punti fondamentali su cui ricostruire la fiducia nel sistema economico finanziario.
Non è solo una “visione” questa esigenza che proviene dalla società, una esigenza di etica, morale, di poter riporre maggior fiducia nel sistema economico.finanziario.
Come dice Dasgupta, “abbiamo bisogno gli uni degli altri, ci dobbiamo fidare, anche indirettamente. La società, prima ancora che l’economia, funziona quando ci sono delle interazioni reciprocamente vantaggiose perché si fondano sulla mutua fiducia”.
Nel suo ultimo libro “Economics. A very short introduction” quattro sono i pilastri della fiducia fondante delle comunità umane:
a) l’affetto reciproco che costituisce la comunità famigliare, che crea una casa vera
b) l’atteggiamento civico, sociale, studiato dall’economia comportamentale per cui se stringo la mano a qualcuno è perché mi fido e voglio pensare che non cerchi di imbrogliarmi. Il cinico dirà che ognuno ha un prezzo, ma forse non è proprio cosi!
c) Le regole della Legge, lo Stato di Diritto, quando è l’autorità esterna che garantisce il rispetto dei patti
d) Norme sociali che garantiscono l’attuazione degli accordi.
Secondo Dasgupta, le norme sociali sono più importanti delle regole, dello Stato di Diritto in quanto le istituzioni pubbliche tendono a funzionare sole se, alla base, i rapporti sociali sono innervati dalla fiducia reciproca.
“ Quando comprate un prodotto cinese, per rivenderlo in Italia, dovete fidarvi di qualcuno che non conoscete”
Non vi è dubbio che oggi la “FIDUCIA” sia e lo è da sempre, alla base delle relazioni umane, ma ancor di più lo è nell’economia e nella finanza dove le leggi non servono a niente se non vi è alle spalle una comunità di persone, istituzioni che hanno valori condivisi.
Non chiudiamo in un cassetto anche il concetto di “fiducia”, non chiudiamolo nel cassetto dell’Utopia solo perché nel mondo economico-finanziario ha l’aspetto di un valore in via di estinzione.
La splendida realtà del Microcredito insegna che se c’è alla base un progetto, delle idee condivise, dei valori tutto è possibile e per favore non nascondiamoci dietro la scusa della miseria, della povertà come unici ambienti dove è possibile far nascere delle Utopie.