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I SINTOMI DELLA GRANDE DEPRESSIONE: Fusioni, acquisizioni, HEDGE e PRIVATE.

Scritto il alle 07:14 da icebergfinanza

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Grande è bello, colossale ancor di più, è trendy!

Che dire della mergermania, la tendenza universale alle acquisizioni, alle fusioni, agli annunci di operazioni alle volte talmente colossali da competere pienamente con una finanziaria, o con i bilanci economici di qualche stato mondiale.

“In quelli anni di prosperità economica gli uomini conquistati dalla visione di una prosperità ancora maggiore, estendentesi all’infinito, capivano naturalmente l’importanza di essere ben provvisti di capitale d’esercizio ed impianti, Non era un tempo da spilorci, inoltre era un’epoca di consolidamento, e ogni nuova fusione richiedeva, inevitabilmente, una certa quantità di nuovo capitale ed una nuova emissione di titoli per farvi fronte. Bisogna parlare a questo punto, del movimento di fusione degli anni venti.”

Con queste parole John Kenneth Galbraith introduce il capitolo relativo alle fusioni ed incorporazioni avvenute negli anni precedenti la Grande Depressione.

M&A, buy back, opa più o meno amichevoli, fondi di private equity e hedge fund all’assalto giorno dopo giorno di società e colossi commerciali, si introducono come dei novelli cavalli di troia nell’azionariato  di istituti finanziari ed industriali, per pilotarne le scelte per costringere il management a operare secondo il loro credo assoluto, vengono assaliti attraverso strumenti finanziari, bisturi di precisione, “ armi di distruzione di massa” per altri, piattaforme di negoziazione titoli, intere nazioni attraverso i loro titoli di debito non certo ultima la Germania dove la Bafin ente di vigilanza tedesco dispone delle prove che i traders di Citigroup abbiano manipolato il mercato dei futures tedeschi vendendo nel giro di due minuti 11 miliardi di euro sfruttando la piattaforma MTS con conseguente deprezzamento dei titoli e successivo riacquisto con un’imponente plusvalenza.
E’ ancora calda la ferita inferta alla Deutsche Boerse con la defenestrazione dei suoi vertici, che ha portato la Germania in prima fila nella richiesta di una serie di regole e limiti da imporre a questi colossi finanziari atipici.

Ma in questa sede lasciano da parte per un attimo ogni considerazione sull’utilità finanziaria e sulle caratteristiche di queste società, per cercare di comprendere attraverso la storia, come queste operazioni di pura megalomania corporativa stiano minando lentamente il sistema economico-finanziario.

Quali sono le motivazioni principali, le linee guida che portano una società ad effettuare fusioni od incorporazioni, acquisizioni o scalate ostili?

Le fusioni e le acquisizioni permettono talvolta di migliorare il posizionamento strategico di un’azienda aumentando le quote di mercato, permettendo di esplorare nuovi mercati, con sinergie ed economie di scala.
L’azienda acquirente ha l’opportunità di reperire risorse finanziarie o di investimento, talvolta migliorando il proprio rating anche se spesso avviene il contrario coinvolgendo particolarmente la struttura della società acquisita che spesso vede peggiorare la propria solidità finanziaria.
Esistono inoltre anche vantaggi di carattere fiscale attraverso la leva dell’indebitamento che permette una certa deducibilità degli interessi passivi utilizzando le perdite pregresse della società acquisita per ridurre l’onere tributario complessivo della società incorporante.

Secondo dati Bloomberg soltanto nei primi cinque mesi di quest’anno sono state concluse o annunciate operazioni complessive per la colossale e stratosferica cifra di oltre 2000 miliardi di dollari, circa il 60 % in più rispetto allo stesso periodo dello scorso anno.

In questa sede non vorrei riepilogare le maggiori operazioni, ma per dovere di cronaca vorrei ricordare solamente la folle offerta della NewsCorp sulla DowJones e la colossale operazione di leverage by out per l’acquisto della Chrysler da parte del fondo di private equity Cerberus, nella quale si coinvolgerà il mercato per la modica cifra di 62 miliardi di dollari, dopo aver sborsato cash solo un decimo ed aver assunto oneri sanitari per 18 miliardi di dollari.

Torniamo agli anni venti, durante i quali un’infinità di piccole società si erano raggruppate con lo scopo principale di ridurre eliminare o regolare la concorrenza.
Ognuno di questi giganti dominava un settore dell’industria e quindi esercitava una notevole influenza sui prezzi e sulla produzione.
In quelli anni, un tizio qualsiasi della cerchia urbana di New York o Chicago poteva, senza imbarazzo, gloriarsi di essere un genio finanziario.
Erano gli anni dei cieli blu infiniti, ogni operazione finanziaria era benedetta come la più innovativa e spettacolare, ogni record veniva sistematicamente abbattuto e gli occhi stellati di Wall Street ignoravano completamente i segnali di deterioramento dell’economia reale scommettendo su una ripresa prossima ventura.

Secondo Galbraith, a quei tempi era vivo l’interesse per l’organizzazione ramificata dell’attività bancaria, ed era largamente diffusa l’opinione che le leggi statali o federali fossero un’arcaica barriera a un consolidamento che avrebbe riunito le banche dei piccoli centri in pochi gruppi regionali o nazionali. Furono tenuti in grande considerazione vari accorgimenti diretti ad eludere lo scopo della legge, fra essi in particolar modo le società finanziarie di credito.

Vi ricorda niente quest’ultimo passo, applicato all’annosa discussione in corso sulla autoregolamentazione o l’introduzione di regole e limiti all’attività degli hedge fund?

Nessuna barriera per i fondi monetari di “barriera” come appunto suppone la parola “hedge”!

Il capolavoro di architettura finanziaria speculativa in quelli anni, quello che, più di ogni altro espediente, permise di soddisfare la domanda di titoli ordinari, quindi di investimento, furono le cosiddette società di investimento, INVESTMENT TRUST, che io oggi paragonerei senza ombra di dubbio ai fondi hedge e private.
Una tipica Investment Trust, conteneva titoli di 500/1000 società di gestione. Di conseguenza il risparmiatore con poche sterline era in grado di ripartire il rischio come avviene oggi con l’acquisto di quote di fondi di investimento appunto.
Gli amministratori dei trust godevano della massima discrezione nell’investimento dei fondi a loro disposizione, togliendo al comune azionista la possibilità di interferire nelle decisioni societarie!

Per molto tempo la borsa di New York considerò con sospetto gli investment trust e soltanto nel 1929 i loro titoli furono ammessi alle contrattazioni.

Per quanto cerchi di non essere prevenuto, non posso fare a meno di ricordate che la regina dei private equity, Blackstone si quoterà a breve sul mercato, tracciando la via maestra per nuove operazioni.

Chissà forse un segnale premonitore o forse una fantasia da leggenda!

“ A parte la convenienza, il rifiuto di rivelare la propria situazione fu ritenuto una precauzione ragionevole. Si aveva un’enorme fiducia nell’abilità finanziaria degli amministratori dei trust…(beata la Cina che ha investito nel tempio del guadagno eterno di Blackstone) il fatto di rivelare quali titoli essi sceglievano, si diceva, poteva dare il via a una pericolosa corsa all’acquisto dei titoli da essi preferiti.”

Faccio notare che uno dei maggiori rischi relativi al proliferare degli hedge fund è relativo al fatto che quasi tutti effettuano le stesse scommesse, quasi tutti utilizzano gli stessi strumenti finanziari.

Qualcuno si rammaricò che non tutti potessero partecipare ai guadagni di questi nuovi strumenti di progresso finanziario.
Credo che se cambia l’aria avremo tutti la possibilità di partecipare alla socializzazione delle perdite, l’intero sistema finanziario, e non credo che questa volta basti l’intervento delle autorità monetarie.

“Nel 1929 gli investment trust si resero conto della loro reputazione di onniscienza e dell’importanza che ciò aveva, e non persero alcuna occasione per aumentarla.”

Non è che ora stia accadendo la stessa cosa….!

“Esperienza, abilità manovriera, acume finanziario non erano le sole formule magiche dell’investment trust ma c’era anche l’azione della leva a tal punto che nell’estate del ’29 non si parlava più di investment trust in quanto tali ma si accennava a trust dotati di leva poco o molto potente, o adirittura sprovvisti del tutto di leva.”

Leva, leva e ancora leva, debito, debito e ancora debito, nulla è stato inventato oggi, ma la storia non si ripete mai, i suoi insegnamenti servono a poco in quanto oggi è tutto completamente diverso nulla è più come in passato si sente dire.

“Ecco la magia dell’azione della leva, ma non era tutto. Se le azioni ordinarie di un trust, il cui valore era miracolosamente cresciuto, fossero state tenute da un altro trust con analoga potenza di leva, le azioni ordinarie di quel trust avrebbe registrato un incremento del 700/800 % dall’originario rialzo del 50 % e cosi via. Nel 1929 la scoperta delle meraviglie della progressione geometrica colpì Wall Street con una violenza paragonabile a quella dell’invenzione della ruota.”

E pensare che qualcuno sostiene che le nuove alchimie finanziarie sono opera di geni illuminati!

Bene potrei continuare all’infinito, ma mi fermo e vi consiglio di leggere il libro di Galbraith, “Il Grande Crollo” per immergerVi nell’atmosfera di quei tempi tanto lontani quanto attuali.

Alla fine del 1928, negli Stati Uniti, si viveva un’atmosfera di euforia economica incontrollata, le azioni crescevano e il denaro correva a fiumi, il tutto all’insegna di un benessere sociale senza precedenti, una nuova era stava nascendo.
Di li a pochi mesi quel mondo di carta e di illusioni sarebbe crollato come un castello di sabbia…….ma questa è un’altra storia e non fa parte della realtà dei nostri giorni, perché in fondo storia potrebbe scrivere ancora per molto nuove pagine epiche.

Nulla è per sempre, ma il mondo non finisce, dopo un temporale, un uragano, un tornado torna sempre il sereno, proprio dove scorgiamo il punto più buio in fondo troviamo la luce della rinascita.

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