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L'ONDA DEFLAZIONISTICA DEL MERCATO DEL LAVORO ASIATICO: La conquista del diritto alla dignità!
http://www.flickr.com/photos/34422485@N00/130159636/
La primavera scorsa, il governo cinese presentò un progetto di legge sui contratti di lavoro, invitando il pubblico a fare commenti entro 30 giorni. Le Camere di commercio americana e dell’UE ed il Consiglio economico USA-Cina (che rappresentano quasi tutti i principali investitori statunitensi ed europei nel paese) risposero ciascuno con un lungo catalogo di obbiezioni. I 30 giorni sono più che scaduti, ma ciò non ha impedito alle associazioni ed ai loro singoli membri di esercitare pressioni contro la proposta di legge. In certi casi, le pressioni delle società sono state accompagnate da minacce di ritirarsi dalla Cina in caso di approvazione del progetto. Come scrisse la Camera di commercio americana di Shanghai nel suo commento pubblico sul progetto di legge, questo “avrebbe conseguenze negative sulla competitività della RPC e sulla sua attrattività come destinazione d’investimenti esteri.” Pare che alcune società siano state anche più chiare e dirette.
Cosa contiene questa proposta di legge da urtare tanto la sensibilità delle multinazionali? Essa minaccia di moderare, almeno sulla carta, alcuni dei principali abusi che riescono efficacemente a mantenere i lavoratori cinesi nella povertà, cioè quelle pratiche che sono servite da catalizzatore per attirare investimenti esteri diretti in così grandi quantità. Grazie alla nuova legge, i milioni di lavoratori cinesi che attualmente non hanno nessun contratto di lavoro dovrebbero averne uno e quindi godere dei diritti che questo comporterebbe. I periodi di prova praticamente illimitati, che sono stati utilizzati per mantenere i lavoratori in uno stato di precarietà permanente, sarebbero sostituiti da un periodo normalmente non superiore a 6 mesi. I lavoratori non sarebbero più responsabili di pretesi costi di “formazione” quando cambiano lavoro; le indennità di licenziamento sarebbero introdotte per quei lavoratori i cui contratti a tempo determinato non sono rinnovati (la Camera di commercio americana affermò che ciò era “assolutamente irragionevole”); lavoratori interinali assunti tramite agenzie diventerebbero fissi dopo un anno; le riduzioni d’organico avverrebbero sulla base dell’anzianità (la Camera di commercio americana pretese che si trattava di “discriminazione”[sic]). Infine, il progetto di legge prevede che le pratiche aziendali che includono salute e sicurezza, riduzioni di personale e licenziamenti dovrebbero essere negoziate con un sindacato o un “rappresentante dei dipendenti”. (www.iuf.org)
http://www.iuf.org/cgi-bin/editorials/db.cgi?db=default&ww=1&uid=default&ID=513&view_records=1&it=1
http://laborstrategies.blogs.com/global_labor_strategies/2007/06/new_approaches_.html
http://laborstrategies.blogs.com/global_labor_strategies/2007/05/why_labor_can_a.html
Dal SOLE 24 ORE:
"Con buona pace del mondo imprenditoriale, compreso quello straniero e delle multinazionali, che sull’assenza di regole e di protezione dei lavoratori cinesi ha costruito parte delle proprie fortune oltre la Grande Muraglia. Ciò spiega perchè l’arrivo di una nuova legge dai contenuti ancora sconosciuti venga percepita come una minaccia alla tradizionale flessibilità del mercato occupazionale del Dragone.
“Disciplinare le situazioni inique e vessatorie, osserva preoccupato un imprenditore europeo è giusto. Ma bisogna stare attenti a non irrigidire troppo le regole e anon concedere troppo spazio ai sindacati dentro le fabbriche. Se il costo del lavoro dovesse salire troppo e se i margini di manovra delle imprese nell’assumere e licenziare personale venisse ridotto, finirebbe la convenienza di produrre merci in Cina. "
Basta che qualcuno incominci a parlare di un minimo, dicesi minimo diritto ad un lavoro dignitoso, senza giornate da 18/20 ore lavorative, con qualche sabato o domenica libera, con straordinari equamente ricompensati, che subito si leva il grido di dolore di un sistema che vuole carta bianca in nome di una flessibilità applicata a senso unico.
Non so come la pensiate Voi, e non nego che avrei piacere di avere dei rimandi, ma credo che ora anche nella grande Cina l’aria stà cambiando, incomincia ad esservi una maggiore consapevolezza anche nelle autorità di come in questi anni il mercato del lavoro cinese sia stato settacciato in lungo ed in largo senza particolare ritegno.
E’ forse giunta l’ora, sino a prova contraria, di ridare una certa dignità al lavoro di milioni di persone e specialmente, sottolineo specialmente ad un’INFANZIA violata, a milioni di piccoli esseri umani che per sopravvivere hanno dovuto subire il compromesso di veder scomparire gli anni più belli della loro vita, un ricatto in cambio della sopravvivenza propria e delle loro famiglie. Con ciò aggiungo che non si può fare di tutta un’erba un fascio!
Proviamo ora a vedere le implicazioni economiche di questa vera e propria conquista sociale, sempre che, come spesso accade, non vada ulteriormente delusa.
In un precedente post, dal titolo “L’onda deflazionistica asiatica e il prezzo della schiavitù” accennai alla possibilità che delle eventuali e legittime rivendicazioni della popolazione cinese potessero in futuro diminuire gli effetti positivi sulle pressioni inflattive relative al mercato del lavoro dei paesi emergenti.
Bene credo proprio che dopo anni di vento a favore le cose stanno incominciando a cambiare e piano piano il ciclo economico dovrà temporaneamente fare a meno degli effetti "benefici" della globalizzazione per far posto, forse, alla conquista del diritto alla dignità di milioni di persone.
CINA-BIMBI-SCHIAVI-AL-LAVORO-PER-LE-OLIMPIADI
LE-CITTA’-SEGRETE-DEL-LAVORO-MINORILE
http://www.chinalaborwatch.org/
Spesso gli attivisti di China Labor Watch non vogliono aizzare il protezionismo anti-cinese in Occidente in quanto le loro denunce si concludono sempre con un appello:” Questa non è una campagna per il boicottaggio dei prodotti cinesi. Non vogliamo spingere le multinazionali ad annullare i loro acquisti. I lavoratori che ci hanno rivelato queste notizie non possono permettersi di perdere il posto di lavoro. Meglio essere sfruttati che disoccupati. Loro chiedono solo di essere trattati come esseri umani”. In questo avvertimento c’è una preoccupazione comprensibile. Le inchieste che cominciano a spezzare l’omertà su lavoro minorile in Cina, sullo sfruttamento e sui soprusi contro i lavoratori, possono portare a conclusioni pericolose: un alibi per i paesi ricchi che vogliono chiudere le frontiere!
Ovviamente l’argomento è molto delicato in quanto il lavoro è un diritto essenziale per ogni essere umano e come tale và rispettato e non sfruttato. Ovviamente la Cina è solo la punta dell’iceberg mondiale dello sfruttamento del lavoro.
Questa è una riflessione sui "FONDAMENTI MORALI della COMPETITIVITA’ CINESE" che prende in considerazioni i risvolti sociali e morali ed economici del fenomeno cinese
http://www.lavoce.info/news/attach/navaretti.pdf
Secondo l’economista Paul Krugman la globalizzazione, gli scambi crescenti fra paesi avanzati e quelli a basso costo di manodopera danneggiano molti lavoratori occidentali, forse persino la maggioranza! " Se avessimo liberalizzato meno gli scambi in America le differenze di reddito sarebbero minori, anche se l’impatto su Bangladesh o CostarRica sarebbe catastrofico: non potrebbero venderci i loro beni. Anche Alan Blinder ex numero due di Alan Greenspan stima che 30 milioni di posti di lavoro americani su 140 rischiano di essere trasferiti in a Paesi a basso costo di manodopera con una riduzione degli stipendi del 9% e un rischio per chi ha meno di 15 anni di scolarizzazione in America. ( dal Corriere della Sera 12 giugno 2007 )
http://economistsview.typepad.com/economistsview/2007/05/paul_krugman_di.html
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