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L'ONDA DEFLAZIONISTICA ASIATICA e IL PREZZO DELLA SCHIAVITU' ( Appunti sullo sfruttamento del lavoro minorile)
Da alcuni anni a questa parte, il mondo del lavoro e l’economia mondiale non sono più gli stessi con l’avvento di alcuni miliardi di potenziali lavoratori e consumatori che attraverso la globalizzazione hanno sconvolto il dna del mercato del lavoro delle nostre società occidentali.
Il riferimento ai potenziali è un atto dovuto in quanto, per ciò che riguarda il mercato del lavoro è indubbio l’apporto determinante che il fenomeno ha avuto nel controllo dei costi di produzione e quindi di conseguenza come effetto calmierante sull’inflazione, ma per quanto riguarda i consumi non credo che dei paesi in cui circa l’80 % della popolazione vive vicino o sotto la soglia della povertà possano contribuire al rilancio dell’economia globale in maniera rilevante.
Uno dei cavalli di battaglia del capitalismo, sta nell’assoluta certezza che esportando il modello consumistico occidentale si determini un sostanziale miglioramento delle condizioni di questa parte di umanità, che attraverso il lavoro, la produzione ed il consumo possa beneficiare dei frutti del ciclo produttivo. Ora attraverso questo viaggio nella nuova realtà del mercato del lavoro globalizzato cercheremo di scoprire risvolti di carattere economico e sociale che questo cambiamento epocale comporta.
Normalmente una politica monetaria accomodante ed espansiva porta ad un’accelerazione dei fenomeni inflativi. La massa monetaria aumenta oltre il limite fisiologico necessario ai bisogni collettivi generando una pressione sui prezzi. Ora la continua tensione a tenere sotto controllo i salari con dinamiche di delocalizzazione ed outsorcing del mercato del lavoro, ha prodotto il risultato di contenere queste spinte inflattive che diversamente un eccesso di liquidità ed un aumento esponenziale delle materie prime avrebbero prodotto.
Per outsorcing e delocalizzazione si intendono quelle pratiche di esternalizzazione di alcune fasi dei processi produttivi attraverso un riallocamento oltre i confini nazionali alla ricerca dei vantaggi derivanti dallo sfruttamento della manodopera a basso costo dei paesi in via di sviluppo o dell’Europa dell’est. L’outsorcing in particolare a differenza della delocalizzazione prevede di rivolgersi ad un’altra impresa che opera in un altro paese sia per la produzione che per la fornitura dei servizi senza muovere l’impresa.
Secondo il pensiero economico l’inflazione può essere determinata da un eccesso di liquidità, da un aumento dei costi di produzione, oppure da una domanda di servizi eccedente le risorse con la conseguenza di ridistribuire i redditi in maniera diseguale.
Si è parlato tanto in questi ultimi anni del fenomeno della possibile progressiva scomparsa del ceto medio, con un aumento del divario tra povertà e ricchezza. In questi anni il mercato del lavoro occidentale ha subito la pressione della concorrenza dei paesi emergenti, attraverso la delocalizzazione delle aziende stesse. Le rendite e i patrimoni hanno subito una crescita vertiginosa ed esponenziale a scapito di redditi e salari, sia nel pubblico che nel privato insufficienti a contrastare ogni eventuale pressione sui beni di consumo.
Ora l’aumento dei patrimoni immobiliari in primis, l’eccesso di liquidità e l’effetto calmierante della manodopera a basso costo hanno permesso di contrastare questo vero e proprio crollo del valore reale dei salari.
Nell’ultimo comunicato della Banca Centrale Europea, Trichet ricorda come gli aumenti salariali oltre le aspettative potrebbero minare la stabilità dei prezzi aggiungendo che è di fondamentale importanza che i partner sociali continuino a collaborare al meglio. La BCE continuerà a monitorare con peculiare attenzione le prossime negoziazioni salariali nei paesi dell’area euro!!!!
In un comunicato emesso dalla Confederazione sindacale europea si avverte la BCE di non confondere aumenti salariali con le pressioni inflazionistiche peraltro inesistenti a suo dire. “L’economia ha bisogno di una crescita più elevata dei salari per aiutare i consumi delle famiglie e trasformare una ripresa trainata dalle esportazioni in una crescita sostenibile”.
Ulteriori strette monetarie mettono a rischio una ripresa già fragile ma ormai il circolo vizioso è stato creato, la droga della liquidità iniettata a dosi massicce ha provocato una sorte di tossicodipendenza del sistema che se non trova presto un suo equilibrio verso il basso rischia di esplodere. Ora che l’indebitamento massiccio degli stati, delle aziende, dei fondi speculativi e della popolazione è ai massimi storici un aumento continuo dei tassi provocherebbe un corto circuito e viceversa un’eventuale rivendicazione salariale dei paesi asiatici porterebbe a togliere quel grande ammortizzatore inflativo che è la delocalizzazione del lavoro.
La realtà dell’economia giapponese dovrebbe farci riflettere. Da ormai tempo immemorabile l’economia giapponese con tassi vicini allo zero, giace nell’oblio della deflazione dimostrando che le politiche espansive difficilmente risolvono cicli economici negativi o portano ad eccessi che richiedono soluzioni dolorose.
Ma come tutti gli ecosistemi la fragilità di questa nuova era è evidente. L’economista Adam Smith, nel suo libro la Ricchezza delle Nazioni richiama la raffigurazione di una “ mano invisibile “ che determina la ricerca del massimo risultato possibile.
Naturalmente ogni individuo aspira al massimo risultato possibile sia nei rapporti umani che economici, ma l’eccesso presuppone un limite forse difficile da determinare oltre il quale si verifica la consapevolezza dell’errore compiuto.
Riprendiamo ora i concetti di outsorcing e delocalizzazione cercando di comprendere quelle che possono essere le implicazioni dal punto di vista sociale.
Secondo Wikipedia (http://it.wikipedia.org/wiki/Outsourcing) un ruolo importante tra le determinanti dell’outsourcing, in particolare internazionale, è giocato dalle differenze nel costo del lavoro. Per quanto riguarda i confini interni, si argomenta che l’esternalizzazione di fasi di produzione, diminuendo la dimensione delle imprese coinvolte nel processo, diminuisce così anche il grado di sindacalizzazione degli operai, indebolendone la forza relativa nelle rivendicazioni salariali. Ma i differenziali salariali giocano un ruolo indubbiamente più importante nelle decisioni di delocalizzazione, che a volte comportano anche outsourcing internazionale, operate dalle imprese dei paesi più sviluppati che sfruttano così i vantaggi comparati dei paesi in via di sviluppo nella produzione dei beni ad alta intensità di lavoro.
Il ruolo svolto da tali fattori nelle decisioni di outsourcing internazionale, e più in generale nei fenomeni di specializzazione verticale e frammentazione internazionale, è l’oggetto di un numero crescente di lavori di taglio sia teorico che empirico.Si discute in particolare su quale sia stato l’effetto delle decisioni di delocalizzazione e outsourcing sulla cresciuta diseguaglianza sociale sperimentata dall’economie sviluppate negli ultimi anni.
Questo fenomeno viaggia in parallelo con quello della riorganizzazione della produzione su scala globale, strategia a volte indicata con il termine global sourcing (letteralmente approvvigionamento globale).
Di fronte alla crescenti dimensioni del fenomeno cominciano a levarsi le prime voci critiche. In particolare, alcuni avvertono contro i pericoli insiti nel massiccio ricorso alle pratiche di esternalizzazione per lo sviluppo di lungo periodo delle imprese. L’uso indiscriminato di tali pratiche tenderebbe infatti a privare le imprese di alcune attività, che, sebbene ad una valutazione focalizzata sul breve e medio termine possono risultare non core, diventano centrali laddove l’ottica si sposti sulla crescita di lungo periodo. Tale critica si riallaccia ad una più generale di "miopia" dei mercati, accusati di privilegiare sistematicamente le imprese che adottano strategie orientate all’ottenimento di profitti a breve termine, senza considerarne adeguatamente le conseguenze nel lungo."
Usciamo per un attimo dai confini nazionali ed addentriamoci nel mondo del lavoro globalizzato evidenziando un fenomeno che rischia di oscurare alcuni dei benefici che la globalizzazione del lavoro porta nei paesi in via di sviluppo quando è portatrice di benessere vero e non puro e semplice sfruttamento della manodopera.
Un vecchio e antico proverbio cinese, portatore della saggezza popolare che io ritengo sia la fonte principale dove l’uomo dovrebbe attingere l’insegnamento per affrontare le problematiche di ogni giorno, diceva che se vuoi sfamare un uomo per un giorno dagli un pesce, ma se lo vuoi sfamare per tutta la vita insegnali a pescare. Un inno contro l’assistenzialismo puro.
Il fenomeno di cui voglio occuparmi è quello relativo allo sfruttamento del lavoro e in particolare del lavoro minorile, riportando alcuni passi dal libro “ Il prezzo del mercato” a cura di Benedetto Bellesi e Paolo Moiola, edito Editrice Missionaria Italia.
Nella prefazione del libro sta scritto: “ La schiavitù continua. Si compra e si vende sul mercato. Il suo prezzo è monetario. Il suo costo altissimo. Il traffico di merce umana, diventato planetario, attraversa tutti i paesi. Quelli ricchi ne sono il capolinea o il centro di smistamento. Ma anche non muovendoci dal nostro paese non è detto che siamo in salvo. Il lavoro dei poveri, al Sud come al Nord, non costa niente, e la loro vita ancora meno. Avremmo preferito mostrarvi un mondo diverso, e invece ecco davanti a i nostri occhi una mappa dell’ingiustizia e della barbarie ai danni di donne, uomini, bambine e bambini, perfino neonati. Voltarsi dall’altra parte servirebbe soltanto a farli sentire ancora più soli. Guardiamoli in faccia, questi fratelli e sorelle, denunciamo i soprusi di cui sono vittime e combattiamo i loro sfruttatori. Uniamoci a quanti, in tanti paesi del mondo, lo stanno già facendo.
Riporto ora in versione integrale alcuni passi del libro in questione: E’ impossibile dare statistiche sulla vastità della tratta di esseri umani, sia perché tale traffico è di natura clandestina e illegale, sia perché in molti paesi manca una legislazione contro questo commercio e molti governi non hanno interesse a collaborare nell’investigazione e nella raccolta di dati; sia, infine, perché le vittime rinunciano o sono impossibilitate a rivelare le loro esperienze alle autorità. Tuttavia, i dati forniti dalle varie organizzazioni internazionali sono cifre da capogiro. Anti-slavery International, associazione con sede a Londra, afferma che oggi nel mondo più di 200 milioni di persone vivono in condizioni di schiavitù e sono merce per i trafficanti di esseri umani. La cifra è stata confermata dalle Nazioni Unite a Palermo il 13 dicembre 2000 dove è stato firmato il Protocollo contro la schiavitù. Secondo tale protocollo la tratta delle persone designa il reclutamento, il trasporto, il trasferimento, l’alloggio o l’accoglienza, mediante la minaccia o l’uso della forza o di altre forme di coercizione, il rapimento, la frode, il raggiro, l’uso di autorità o di una situazione di vulnerabilità attraverso l’offerta o accettazione di pagamenti o vantaggi per ottenere il consenso di una persona che esercità un’autorità su un’altra, ai fini di sfruttamento.
Il rapporto 2005 dell’Organizzazione internazionale del lavoro calcola che 12,3 milioni di schiavi, sono costretti al "lavoro forzato" in imprese private e altri 2,5 milioni sono condannati alla stessa sorte da stati e gruppi guerriglieri precisando che le cifre riportate sono calcolate per difetto e aggiunge che " in termini di reale conoscenza e consapevolezza del moderno lavoro forzato, ci sembra ancora di vedere solo la punta di uno spaventoso iceberg".
In qualsiasi modo si valutino le cifre della vergogna, una cosa è certa: oggi ci sono più schiavi al mondo di quanti non ne abbia fatti la tratta transatlantica dal 1600 al 1880.
Ora vorrei occuparmi di un argomento che mi stà particolarmente a cuore e che riguarda lo sfruttamento del lavoro minorile: Gibran diceva che in ogni bimbo che nasce è nascosto il sogno di Dio e il Vangelo ricorda che “ quello che farete al più piccolo tra voi, credete l’avete fatto a Lui e ancora ………."chi avrà scandalizzato uno di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse legata una macina d’asino al collo e che fosse sommerso nel fondo del mare."
In un capitolo del libro viene trattato l’argomento dello sfruttamento minorile. In un articolo dal titolo Piccoli Schiavi, Grandi Profitti a firma Sandro Calvani e Serena Buccini dal quale prendo alcuni passi significativi, si rileva come ogni anno nel mondo oltre un milione di bambini diviene vittima del traffico di esseri umani a fine di sfruttamento lavorativo e/o sessuale, con un giro di affari di oltre un miliardo di euro secondo Stop the Traffic, il più recente rapporto Unicef.
I bambini schiavi fabbricano mattoni e giocattoli, tagliano diamanti puliscono pietre preziose, annodano tappeti, stampano tessuti e pelli, raccolgono rifiuti e feci, servono nelle case dei ricchi. In tutta una serie di settori, come nella produzione di fuochi d’artificio, fiammiferi e vetro nel Sud-Est asiatico, nonchè nel tessile e nell’abbigliamento nel resto del mondo, i bambini sono una componente essenziale per il ciclo produttivo. Il crimine organizzato che sfrutta i minori ha trasformato il più grave abuso della dignità umana in un modello produttivo. Certe produzioni di giocattoli e manifatture di tappeti addirittura non hanno altra scelta: i pezzi da montare sono così piccoli o i nodi da fare al tappeto così minuscoli che solo le mani dei bambini possono riuscirci.
L’Unicef stima in 246 milioni il numero di bambini lavoratori nel mondo. Circa tre quarti del totale e precisamente 171 milioni sono sfruttati in condizioni di alto rischio: nelle miniere, nell’agricoltura con pesticidi e nell’industria con prodotti chimici o con macchinari pericolosi. Milioni di bambine sono occupate come lavoratrici domestiche non pagate o pesantemente sottopagate, esposte ad ogni forma di abuso fisico e psicologico: 1,2 milioni sono vittime del traffico, 5,7 milioni sono schiave del debito o in altra forma, 1,8 milioni sono costrette a prostituirsi e circa 300000 bambini vengono utilizzati in conflitti armati e 600000 in attività illecite controllate da imprese criminali transnazionali. Il 70 % di tutti i bambini è impiegato in agricoltura.
Tra le molte cause che producono il fenomeno dei bambini lavoratori ci sono soprattutto la povertà diffusa e disperata, peggiorata dalla pandemia di Hiv-Aids e dalla conseguente crescita del numero degli orfani. Le famiglie disfunzionali dove è grave lo sfaldamento a causa di mancanza di educazione degli adulti, di conflitti interni, violenza intrafamiliare e maltrattamenti sono un’altra grossa fonte di minori che entrano nel mondo del lavoro infantile. Un forte contributo viene anche dalle attitudini poco rispettose dei minori in certe culture e minoranze etniche, dove un minore non viene ritenuto soggetto di diritti paragonabile ad un adulto. Quindi i bambini vengono nutriti poco e male e le bambine possono essere affittate ai vicini come schiave casalinghe e sessuali in caso di scarsi raccolti; sepoi esse sono di casta inferiore sono praticamente merci di sfruttare.
Nella Convezione Onu sui diritti del bambini datata 20 novembre 1989 rispetto al mondo del lavaro sta scritto:
I bambini non vanno sfruttati! Per nessun motivo! Non devono fare lavori che impediscano loro di andare a scuola e crescere bene. Nessun adulto ha diritto di far loro del male, di trattarli come un giocattolo, o di dar loro fastidio!
Ora ognuno di noi potrà dire ciò che vuole, riflettere o girarsi dall’altra parte sostenendo che noi non possiamo fare nulla ma noi abbiamo un arma micidiale tra le mani. Come dice Francesco Gesualdi allievo di Don Milani "Se vogliamo entrare nel concreto e capire quale può essere la reale forza di ognuno di noi in queste situazioni basta ricordarci che ogni nostro acquisto come consumatori è un “ reale esercizio di potere” che può ottenere a seconda dei casi i risultati desiderati.
Singolarmente ognuno di noi conta relativamente poco, ma moltiplicando l’atteggiamento per milioni di persone può condizionare il corso degli eventi, gli stili di produzione o di consumo. Non sosteniamo che è un’utopia, perché allora non è più grande di quella che anela al cambiamento aspettando che le cose cambino da sole!
Ritornando per un attimo al tema della Responsabilità Sociale d’Impresa (RSI) e constatando come per alcuni è essenzialmente un trucco delle aziende per darsi una dimensione sociale e una nuova immagine, dobbiamo scegliere! O crediamo in un cambiamento nello stile di produzione delle imprese o ci accontentiamo di sostenere la tesi di Milton Friedman che sosteneva che le imprese che dedicano risorse alla responsabilità sociale tradiscono i loro doveri nei confronti degli azionisti, sprecando risorse e denaro alla ricerca di un’utopia.
Per chiunque volesse scoprire più da vicino le conseguenze della mancanza della cosiddetta responsabilità sociale di impresa, delle conseguenze sulla vita di donne, uomini e bambini in particolare consiglio di visitare il sito in inglese dell’associazione umanitaria CHINA LABOR WATCH impegnata nella battaglia contro lo sfruttamento del lavoro minorile e i diritti dei lavoratori ( http://www.chinalaborwatch.org/ ) utilizzando un traduttore oppure tramite un qualsiasi motore di ricerca ricercare gli articoli in italiano riferiti all’associazione in questione. Emblematici sono a tal riguardo due articoli apparsi su Repubblica.it Economia a firma dell’inviato Federico Rampini che evidenziano le condizioni terribili in cui opera quella parte di umanità dal titolo i “Lager cinesi che fabbricano il sogno occidentale”
( http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/economia/nostrolusso/nostrolusso/nostrolusso.html )
e “Cina, le città segrete del lavoro minorile”
( http://www.repubblica.it/2005/e/sezioni/economia/nostrolusso/cinminb/cinminb.html ).
Ora secondo l’articolo gli attivisti di China Labor Watch non vogliono aizzare il protezionismo anti-cinese in Occidente in quanto le loro denunce si concludono sempre con un appello:” Questa non è una campagna per il boicottaggio dei prodotti cinesi. Non vogliamo spingere le multinazionali ad annullare i loro acquisti. I lavoratori che ci hanno rivelato queste notizie non possono permettersi di perdere il posto di lavoro. Meglio essere sfruttati che disoccupati. Loro chiedono solo di essere trattati come esseri umani”. In questo avvertimento c’è una preoccupazione comprensibile. Le inchieste che cominciano a spezzare l’omertà su lavoro minorile in Cina, sullo sfruttamento e sui soprusi contro i lavoratori, possono portare a conclusioni pericolose: un alibi per i paesi ricchi che vogliono chiudere le frontiere!
Ovviamente l’argomento è molto delicato in quanto il lavoro è un diritto essenziale per ogni essere umano e come tale và rispettato e non sfruttato. Ovviamente la Cina è solo la punta dell’iceberg mondiale dello sfruttamento del lavoro.
Concludo con la speranza che ogni nostra azione e ogni nostra scelta tenga in futuro conto dei risvolti umani e sociali che ogni tendenza economica porta con sè!