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ITALIA …SVENDESI PAESE CON VISTA MARE!
Quale migliore occasione se non la visita in Grecia, paese nel quale si discute da tempo di vendere le proprie isole e l’anima al diavolo, per ricordare a tutti …
ATENE (Reuters) – Il presidente del Consiglio Enrico Letta promette per fine anno un programma di cessioni del patrimonio pubblico per ridurre il debito pubblico italiano, il secondo più grande in Europa rispetto al Pil dopo quello greco. “Anche l’Italia è un Paese fortemente impegnato a processi di liberalizzazione e presenteremo in autunno un piano di privatizzazioni”, ha detto Letta nella conferenza stampa congiunta con il premier greco Antonis Samaras ad Atene.
Secondo le linee guida annunciate dal ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni, il governo punta innanzitutto a valorizzare e dismettere i beni del Demanio, che ha già individuato un portafoglio di immobili disponibili del valore di circa 600 milioni. La Difesa ha censito 1.600 immobili inutilizzati. Più complesso il discorso delle partecipazioni. Saccomanni ha fornito una cauta disponibilità a valutare in futuro la cessione delle quote che il Tesoro detiene in società come Eni, Enel e Finmeccanica.
Un’ipotesi alternativa consiste nell’utilizzare queste partecipazioni come collaterale (garanzia) per i titoli di Stato, riducendo gli interessi passivi senza rinunciare al flusso di dividendi.
Anche la miriade di società controllate da Regioni ed enti locali è nel mirino del governo.
Sul fronte liberalizzazioni, il sottosegretario allo Sviluppo Simona Vicari dice che a Via Veneto è già attivo un tavolo: “L’azione che stiamo svolgendo vuole in primo luogo verificare, e nel caso completare, il processo di liberalizzazione iniziato nella scorsa legislatura. Poi, dare a tale processo un nuovo impulso attraverso una serie di provvedimenti, in linea con i rilievi svolti dall’Antitrust, che interessino quei settori nei quali è più sentita l’esigenza di un’apertura verso il mercato e la concorrenza”.
Nulla di nuovo sotto il cielo ricolmo di avvoltoi in Italia, quando l’ odore del sangue si diffonde come abbiamo visto all’improvviso da Mosca, lontano da occhi indiscreti…
Eni-Enel Stake Sales Weighed by Italy to Reduce Debt – Bloomberg
Ovviamente visto che in questo mondo tutto è frainteso leggiamo l’articolo in inglese
“Stiamo valutando la possibilità di ridurre la nostra partecipazione in società controllate dallo Stato,” ha detto oggi Saccomanni in un’intervista televisiva a Bloomberg con Ryan Chilcote da Mosca. Alla domanda poi se si riferiva ad aziende come Eni, Enel e Finmeccanica, Saccomanni ha detto: “Stiamo considerando questo.”
Ovviamente tutto falso, frainteso, se vi infilate una tartina nell’orecchio e una sugli occhi suona più o meno cosi …
ROMA – “Specifiche ipotesi di vendita riportate da organi di informazione non sono state formulate dal ministro”. Lo precisa il Tesoro in merito alle parole del ministro Saccomanni, che ha parlato “di strategia di riduzione del debito, formulando diverse ipotesi di valorizzazione del patrimonio pubblico, senza mai citare specifiche società”.
Non e’ escluso che il Tesoro decida di cedere quote di societa’ pubbliche – incluse Eni, Enel e Finmeccanica per ridurre il debito. E’ quanto ha affermato il ministro dell’Economia, Fabrizio Saccomanni in un’intervista a Bloomberg Tv a Mosca, secondo quanto riporta l’agenzia Bloomberg.
C’e anche l’ipotesi, ha spiegato Saccomanni nell’intervista televisiva a margine dei lavori del G20 di Mosca, di usare gli asset di queste aziende come collaterali. ”Stiamo considerando questo – ha detto il ministro in un’intervista a Bloomberg – queste compagnie sono profittevoli e danno dividendi al Tesoro, cosi’ dobbiamo considerare anche la possibilita’ di usarle come collaterali per la riduzione del debito”. ”Ci sono un po’ di idee che dobbiamo prendere in considerazione”, ha proseguito Saccomanni. In particolare il ministro ha detto: ”spero che prima della fine dell’anno possiamo avere chiara quale sia la nostra visione per una strategia compressiva per uno schema che consenta l’accelerazione della riduzione del debito”.
“Il governo intende valorizzare i propri asset e quindi non esclude in futuro un piano di valorizzazioni che include le partecipazioni delle quale è in possesso”. Lo precisa alla stampa italiana il portavoce del ministro dell’Economia, Roberto Basso a margine del G20.
“Ipotesi questa che andrebbe valutata con molta cautela perché si tratta di società quotate, profittevoli, che forniscono dividendi”, ha proseguito il portavoce del Ministero del Tesoro, precisando alle agenzie italiane il senso dell’intervista concessa dal ministro Saccomanni a Bloomberg Tv, nella quale non si escludeva l’ipotesi di cessione di quote delle partecipazioni del Tesoro in Eni, Enel e Finmeccanica. “Tra le idee da valutare in futuro anche l’ipotesi di utilizzare le partecipazioni come collaterale per operazioni finanziarie”, ha aggiunto. “Tra le ipotesi note anche la cessione di immobili del Demanio”, ha proseguito. L’obiettivo è “contribuire alla riduzione dello stock del debito”, ha concluso. Debito: Saccomanni, mai ipotizzato vendità società pubbliche ANSA
Pensate che si è svegliato pure il Grillo, si quello che considera lo Stato brutto e cattivo, un cancro da estirpare, salvo poi Saccodanni collaterali L’Italia è alla canna del gas e chi l’ha ridotta in questa condizione, invece di andarsene con passo rapido e veloce in qualche Paese senza estradizione, si prepara a svendere l’argenteria per guadagnare tempo.
In sostanza un collaterale è una cambiale in bianco, un pagherò dato in garanzia, in questo caso delle azioni delle aziende di Stato. “Ah, ma allora è tutta un’altra cosa!”, dirà il cittadino finalmente informato e rassicurato: “Non è una semplice vendita, ma un collaterale”. Gli effetti, i saccodanni collaterali, saranno a lunga scadenza con la perdita del controllo del 30% dello Stato e della “golden share“, che consente di incidere sulle decisioni strategiche, e una diminuzione dei dividendi che vanno alle casse pubbliche. Questione di saccodanni collaterali.
E ancora … Roma, 30 lug. (TMNews) – Beppe Grillo ancora all’attacco del governo Letta. “Il problema dell’Italia sono i suoi amministratori che la spolpano anno dopo anno. Se non vengono fermati, con i ‘piani larghi’ di Capitan Findus Letta dell’Italia non rimarranno neppure le ossa”, scrive il leader 5 Stelle sul suo blog in un post in cui fa riferimento al “piano di privatizzazioni” annunciato dal premier ieri in Grecia.
“Letta – commenta Grillo – è al lavoro. Si occupa di saldi. Si è recato in Grecia per vedere di persona come sarà l’Italia nel prossimo futuro. Ha dichiarato sotto il Partenone: ‘In autunno presenteremo un importante piano di privatizzazioni’. Lo ha detto con il piglio dello statista. ‘Sarà un piano largo del quale ho già parlato con le parti sociali e al quale lavoreremo ad agosto e settembre’. Il ‘piano largo’ consiste nella cessione del patrimonio dello Stato e della sua partecipazione nelle più importanti imprese del Paese: Eni, Enel e Finmeccanica. Una svendita, un ‘garage sale’ di quello che resta dell’Italia. Il ‘piano largo’ serve per pagare gli interessi sul debito che continuano, inarrestabili, ad aumentare, e per guadagnare tempo. Per la casta, per il pdl e il pdmenoelle, per le lobby che li sostengono, l’imperativo è sopravvivere il più a lungo possibile, anche a costo dell’impoverimento della Nazione, della distruzione del tessuto produttivo, della cessione di sovranità nazionale”.
“Eni, Enel e Finmeccanica – prosegue Letta – appartengono al popolo italiano. Sono aziende costruite grazie al lavoro di generazioni, il cui controllo per il Paese è fondamentale. Nessun Letta o Saccomanni le può vendere come se fossero ‘cosa loro’ per salvarsi temporaneamente le chiappe”.
Meglio tardi che mai verrebbe da dire, ora non ho intenzione di ripetere per l’ennesima volta per quale motivo è un’immensa fesseria anche solo pensare di alienare una parte di alcune galline dalle uova d’oro, nel bel mezzo di una depressione economica accentuata da svalutazioni quotidiane di titoli e aziende italiane in saldo, ma qui e la qualche riflessione ve la voglio lasciare anche con i numeri.
Tralasciando l’agitazione del vincitore dello Zecchino d’Oro, l’uscita del buon Saccomanni ha rescuscitato anche due redivivi liberisti naif della pattuglia fantasma di Fermare il Declino Boldrin e Bisin e moltri altri ancora.
Ascoltate il credo di Bisin … Una delle “favole” esaminate è quella che racconta come l’economia finanziaria abbia ormai preso il sopravvento sull’economia reale distruggendo la ricchezza che essa crea. Intanto, sostiene Bisin, la finanza non è un settore socialmente inutile che produce e scambia inutile carta a vantaggio di avidi e grassi banchieri. Che poi il sistema finanziario – con i derivati e gli strumenti “creativi” in genere – sia all’origine della crisi è evidente, ma è altrettanto evidente che un’economia di mercato non può farne a meno. Il problema semmai è come garantire la sua efficienza e come intervenire nel caso in cui esso si ammali come è successo nel 2008 con la crisi dei subprime. La stessa speculazione, spesso vista come l’origine di tutti i mali, in fondo secondo l’autore farebbe solo il suo mestiere: quello di investire in operazioni che portano guadagno e disinvestire dalle operazioni che portano perdite. Un mestiere tutto sommato utile, in quanto contribuisce a fare pulizia, spazzando via dal mercato pericolose inefficienze. Un ragionamento ineccepibile a livello accademico. Se non fosse che il controllo della speculazione è (quasi) sempre tardivo e gli effetti sull’economia mondiale sono sempre devastanti. di Stefano Natoli – Il Sole 24 Ore – leggi su http://24o.it/XY2DH
Un’economia di mercato non può fare a meno di certi derivati e strumenti creativi strutturati ? E’ questo che insegnano nelle nostre università?
E se fosse che le favole e le leggende metropolitane le raccontasse proprio lui, cercando di nascondere la pura e semplice realtà?
Vi lascio con un piccolo capolavoro del nostro Claudio Gandolfo direttore editoriale di BusinessCommunity.It
Quando in Italia si parla di privatizzazioni, la mente non può evitare di andare al 1992, quando il 2 giugno a bordo del panfilo Britannia al largo di Civitavecchia, si trovarono Mario Draghi (allora Direttore Generale del Tesoro), Carlo Azeglio Ciampi (Governatore della Banca d’Italia), e un nutrito numero di rappresentanti della finanza anglosassone, oltre che esponenti degli ambienti industriali e politici italiani.
Il Corriere della Sera dell’epoca scrisse che l’incontro servì a: “un centinaio di manager pubblici e banchieri tra cui i presidenti di ENI, INA, AGIP, SNAM, ALENIA e Banco Ambrosiano, alti funzionari dello Stato e l’ex ministro del Tesoro Nino Andreatta per spiegare agli inglesi come impossessarsi di una parte dei 100mila miliardi derivanti dalle privatizzazioni”. Una montagna grande come l’Himalaya di soldi.
Giuliano Amato sarebbe diventato Primo Ministro pochi giorni dopo l’incontro sul panfilo (e Romano Prodi capo dell’IRI dal 1993) e applicò subito alla lettera le risultanze dell’incontro: trasformare in SpA, come scelta obbligata ma lungimirante, alcune delle maggiori industrie statali del Paese (IRI, ENI, INA ed ENEL). Naturalmente, i media avevano provveduto a creare una ansiogena e ben orchestrata campagna secondo cui tutto ciò era necessario “per entrare in Europa”. Poco tempo dopo la sua nomina Amato fece quello per cui sarà sempre ricordato: a causa di un attacco speculativo di Soros sulla lira, bruciò inutilmente una montagna di dollari delle riserve della Banca d’Italia, dopo però avere operato un prelievo forzoso dell’8 per mille dai conti correnti degli italiani. Naturalmente, uscimmo lo stesso temporaneamente dallo SME e svalutammo la nostra moneta. L’anno dopo l’inflazione fu poco più che cosmetica e in cambio il PIL (grazie anche all’export), si impennò.
Nel frattempo però una cospicua parte degli asset statali italiani (know how compreso) erano diventati stranieri o svenduti a prezzo di saldo ad impreditori italiani.
Pochi anni dopo, con il governo Prodi, assistemmo a una seconda tornata di “privatizzazioni”. Questo sempre perchè dovendo mettere le basi dell’euro, e in nome delle liberalizzazioni, dovevamo alienare ancora qualche “gioiello di famiglia”, altre aziende di stato. E ci ricordiamo tutti molto bene cosa accadde. Specialmente con Telecom, che da protagonista internazionale del mondo delle TLC, si ritrovò nel giro di poco tempo ad avere una enorme montagna di debiti.
E siamo ai giorni nostri. L’Italia è ancora alle prese con il suo mostruoso debito pubblico (che nel frattempo non è sceso, anzi), si ventila da più parti di un prelievo forzoso dai conti correnti (stile Cipro) e, avendo messo in Costituzione il Fiscal Compact, dovremmo tirar fuori dal cilindro (le tasche degli italiani) circa 50 miliardi di euro l’anno per i prossimi 20 anni. Inoltre, in piena crisi economica, con la spada di Damocle dello spread, e con la disoccupazione ai massimi livelli, l’Europa ci chiede più rigore e riforme. il tutto rilanciato a gran voce dai media.
In questo quadro, il ministro Saccomanni da Mosca, al G20, in una intervista a Bloomberg TV ha affermato che “stiamo considerando anche la possibilità di ridurre le quote pubbliche sulle società partecipate“. E alla domanda se questo comporti vendere pacchetti azionari di ENI, ENEL e Finmeccanica, aggiunge: “queste società sono profittevoli e danno dividendi al Tesoro, quindi dobbiamo considerare anche la possibilità di utilizzarle come collaterale per gli schemi di riduzione del debito pubblico su cui stiamo ragionando”. In pratica, annuncia la vendita di altri (gli ultimi?) gioielli di famiglia. Molti media, anzichè allarmarsi, hanno parlato di “tabù infranto” o addirittura hanno pubblicato calcoli possibilistici. Ma solo qualcuno è uscito dal coro denunciando una svendita di asset. Per il resto, mancavano solo gli applausi per l’idea geniale che ci avrebbe tirato fuori di guai. Proprio come nel 1992.
Ora, la storia recente ci illustra chiaramente che l’Italia, a differenza di altri Paesi europei ma non solo, non riesce a gestire in modo profittevole le privatizzazioni. Per mille motivi, talvolta fin troppo scoperti. Quello che ci lascia particolarmente perplessi è come si possa oggi pensare di alienare quel poco rimasto di redditizio del patrimonio industriale pubblico, spesso eccellenza nel mondo, al solo scopo di abbassare un debito (per rimanere nell’euro) che dovrebbe essere aggredito in ben altri modi. Magari, svendere per svendere, partendo dagli asset immobiliari improduttivi, prima che dalle aziende sane. Se non altro, il know how tecnologico e i brevetti rimarrebbero di nostra proprietà.
Già, perchè se vendessimo anche le partecipazioni in queste aziende strategiche, diminuirebbero parimenti gli introiti del Tesoro, che dovrebbero esser comunque ripianati. A meno di non ridurre le spese dello stato. In una fase di recessione e contrazione de Pil la svendita degli asset aziendali pubblici porterebbe ben poco più di un sollievo momentaneo, ma nel medio termine ci renderebbe ancora più poveri e con minor capacità di competizione sui mercati internazionali. E dal prossimo anno non saranno poi più dispobilbili a bilancio. Una situazione che andrebbe di pari passo con la continua acquisizione di nostri brand privati da parte di capitali internazionali. Di questo passo – con il protrarsi di questa congiuntura globale, il credit crunch e debiti statali non pagati, ecc. – le aziende vitali prima o poi verranno cedute agli stranieri che con pochi capitali fanno shopping delle nostre eccellenze, che non sono infinite. E faranno di conseguenza morire anche il loro ecosistema di subfornitura. Poi toccherà alle utilities. A quel punto, il “Sacco d’Italia” sarebbe stato completato.
Speriamo che per Saccomanni si sia trattato di “voce dal sen fuggita”. Non vorremmo che il “ce lo chiede l’Europa”, sia in realtà il sussurrare di bionde sirene.
Claudio Gandolfo
Chissà, come suggerito prima questa settimana getterà le basi per la rotta di tutta la seconda parte dell’anno… In attesa di Machiavelli , … punto mio libera tutti è il grido di chi, col suo punto, libera e fa rientrare in gioco tutti ecco cosa ha elaborato il buon Machiavelli, raggiungendo tutti coloro che sostengono e vorranno liberamente sostenere Icebergfinanza e il nostro viaggio.
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Le banche, vedi USA ma non solo, SCELGONO i politici, non si limitano ad aspettarne gli errori, che pianificano tramite le loro lobby. In quanto ai derivati, è’ la percezione del rischio che porta a riflettere sull’investimento, + minore è, più rischiosi sono gl’investimenti, presente come si guida se si ha la casco?Non per nulla l’hanno praticamente tolta. Senza dimenticare che di solito sono sempre gli stessi, il parco buoi, che ci rimette, mai o quasi coloro che questi rischi “li corrono”, brocher, trader, banchieri/ari. Fatto che dimostra lo scopo truffaldino di questi strumenti, rassicurare le pecore (a pagamento!!!!), mentre vengono portate al macello. L’avidità è male, senza se e senza ma, però è inevitabile, a volte anche utile, ma comunque è da tenere sotto stretto controllo. La domanda è: se sappiamo che è l’avidità la molla principale dell’uomo, è giusto che non sia ferocemente regolamentata? Non confondiamo l’avidità con il desiderio di migliorarsi, che se è vero che hanno la base in comune, non sono però la stessa cosa. Una mano puo accarezzare o schiaffeggiare, il mezzo è lo stesso, ma è questione di controllare la forza cosi come l’energia nucleare è utile, ma… occhio . L’uomo si stà distruggendo, proprio perchè non è in grado di darsi un limite.
Ciao kurskit, l’uomo non si darà mai limiti. Ha creato il mercato finanziario proprio per sfondare i limiti dell’economia reale. Ha manipolato perfino il tempo. Molti dei nostri guai derivano dalla scelta di agire nel presente su dati proiettati nel futuro che puntualmente disattendono. Non esiste teoria economica che col tempo rimanga vincente. Quello che facciamo è mescolare continuamente le carte dandogli un nuovo dispiegamento, poi aspettiamo gli effetti per inventarci ulteriori ” mosse geniali”, vedi la teoria delle restrittezze espansive applicata in europa nel 2008. Fallita miseramente nei numeri, nella misura del triplo di quanto previsto..mi riferisco al calo di mezzo punto sul pil in seguito ad un taglio della spesa pubblica di un punto o di un aumento fiscale di un punto. Il pil è sceso di un punto e mezzo per punto! Fallimento totale delle previsioni e di tutta la teoria!! Nel frattempo hanno tagliato i servizi e aumentato le tasse levando il sangue a noi cittadini. Continua la lotta di pensiero accademico su tutto ciò, ma a mio modesto parere, ribadisco che appare più un montare a casaccio, col dio denaro in primis ovviamente, pezzi di una macchina che inevitabilmente muta, e rende non solo vano, ma fortemente dannoso nel tempo, ogni intervento. Un cane che si morde la coda insomma…ma come disse galileo, eppur si muove.
http://www.ilsussidiario.net/News/Impresa/2013/7/31/J-ACCUSE-Sapelli-cosi-i-fondi-stranieri-vogliono-papparsi-le-nostre-imprese/416062/ ….. critica feroce a Saccomanni
Un’economia moderna, ed anche una un po’ meno moderna, non può fare a meno degli strumenti derivati che, dovrebbe essere noto, sono nati come strumenti finanziari per RIDURRE I RISCHI.
Ora se entro in un cantiere mi metto l’elmetto e le scarpe di sicurezza, che se mo cade qualcosa addosso forse limito i danni .
Invece gli strumenti derivati sono stati usati per assumersi “rischi illimitati” … il resto è noto.
Non capisco perchè usare un asset come garanzia di un prestito per avere un interesse più basso sia sbagliato, se si è in buona fede….
é sempre una questione di fiducia, “Non capisco perchè usare un asset come garanzia di un prestito per avere un interesse più basso sia sbagliato, se si è in buona fede….” il guaio che chi valuta la bontà defli assets? Qui gli arbitri e i giocatori sono gli stessi, e io lo so, sono un cinico, ma sulla loro buona fede ho qualche dubbio. Sono sempre dell’idea che l’occasione fa l’uomo ladro, e se anche è vero che non tutti sono ladri, ma mia filosofia è: perchè rischiare?.
Ciao Silvio, sai che c’è? Che quando vedo che viene dato il nobel a due economisti che hanno teorie una all’opposto dell’altra, non posso che domandarmi se loro non siano solo dei gran furboni, o meglio noi dei gran coglioni, cosi come mi domando se c’è qualcuno che raccoglie tutte le previsioni dei vari costosissimi organi privati e statali,internazionali e no, e poi verifica i dati.Credo che si potrebbe dimostrare che, visto i risultati, meglio affidarci ai fondi del caffè che ci costerebbe immensamente meno. Mi ricorda un’esperimento fatto negli USA, in cui avevano usato una scimmia per decidere cosa vendere e cosa comprare( virtualmente) a wall street, e i risultati erano sovrapponibili al benchmark. Parassiti, parassiti, parassiti. E l’economia muore, e noi con essa.
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La repubblica italiana si è caratterizzata sull’indebitamento dello stato a favore del privato collettivo. Per questo, siamo lo stato più povero col privato più ricco. Una volontà atta al benessere collettivo che con i suoi difetti ci ha reso grandi nel mondo. Oggi lo stato si indebita a favore del privato bancario e non più collettivo. Dismettere i nostri asset rientra nella logica di questa nuova distribuzione. Personalmente, attribuisco alla disarmante debolezza della classe politica la responsabilità maggiore. I banchieri occupano semplicemente gli spazi che la politica gli lascia. Spezzo una lancia a favore dei derivati ricordando che questi servizi nascono come compensativi del rischio di altri servizi. L’uso improprio ha provocato disastri. Sottolineo questo perché molti usano l’argomento come paravento improprio di un servizio che se correttamente applicato rappresenta viceversa una grande risorsa. L’avidità, come ci rammenta spesso Andrea, è il motore e al contempo la rovina del mercato. Anch’essa però deve essere libera e non possiamo prendercela con la matematica. Gli uomini si sono venduti ad essa, gli uomini politici in particola modo. Attendiamo lumi dal grande Macchiavelli e preghiamo la madonna, Amen.