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INSIDE JOB! IL LAVORO SMARRITO
Grazie al nostro carissimo Raffaele, una volta tanto lasciamo il paese delle meraviglie per inoltrarci in uno dei documentari che se il buon giorno si vede dal mattino ha tutto il potenziale per squarciare il velo di omertà che circonda il mondo della finanza. L’inviato di Repubblica, Angelo Aquaro, ci racconta la storia del milionario Charles Ferguson diventato regista di un documentario, presentato all’ultimo festival di Cannes, che va a caccia dei colpevoli e di quelli che hanno provocato la crisi finanziaria mondiale. "Inside Job" il film che rivela chi ci ha rubato il futuro.
(…) "Sono rimasto sconcertato quando l’amministrazione Obama al gran completo ha evitato di parlarmi, anche informalmente. E in tanti casi, Geithner compreso, senza dare neppure una spiegazione".
Ma Ferguson la sa bene la spiegazione. Altro che Gekko-Michael Douglas ripescato da Oliver Stone vent’anni dopo. Altro che i blitz naive di Michael Moore che fanno tanto spettacolo e ideologia: "Non mi faccia fare nessun commento: penso che il mio film parli da solo e possa essere giudicato per se stesso". Inside Job, espressione inglese per indicare appunto il crimine commesso da chi ha mani in pasta, racconta l’assassinio dell’economia mondiale come se fosse un giallo. E indicando da subito un sospetto: la deregulation voluta da Reagan. L’accusatore parla per conoscenza diretta. Classe ’54, laureato in matematica a Berkeley e in scienze politiche al Mit di Boston, Ferguson si è arricchito vendendo per 133 milioni la sua invenzione, Vermeer Technologies, a un certo Bill Gates. E da allora s’è dato al cinema. Quello, molto particolare, dei documentari. Che dal suo "No Exit in Sight" sulla guerra in Iraq a quel "Waiting For Superman" di Davis Guggenheim sul disastro della scuola americana sta riscattando la pigrizia di Hollywood a confrontarsi con la realtà. E invece Ferguson è tutto tranne che pigro.
Incalza l’ex presidente della Fed Paul Volcker ("Come giudica gli stipendi di Wall Street?". "Eccessivi") e il ministro francese dell’economia Christine Lagarde ("Stavamo a guardare lo tusnami che arrivava"). E poi i professoroni del conflitti d’interesse. Come quel Glenn Hubbard, capo dei consiglieri economici di Bush e oggi preside di Business alla Columbia: "Scusi, ma lei non è quello che aveva firmato il documento sulla solidità finanziaria dell’Islanda?". "Adesso basta! Ha solo altri quattro minuti: spari la sua cartuccia migliore…".
Naturalmente Ferguson nella sua caccia trova anche i suoi eroi buoni: come il profeta inascoltato Nouriel Roubini e, sorpresa, l’ex procuratore e governatore di New York, Eliot Spitzer, quello che fu sorpreso in un giro di prostitute. "Beh, i fatti suggeriscono che fu davvero preso di mira. Certo ha fatto volontariamente quello che ha fatto, ma sembra proprio che sia finito al pubblico ludibrio proprio per il ruolo che aveva avuto nel ripulire Wall Street. E per i nemici politici che si era fatto". Che mondo. Non è un caso che l’altra eroina di Charles sia Kristin Davis, la maitresse che rivela le notti a mille dollari a botta e ancora si chiede com’è possibile che i suoi clienti fatti di cocaina potessero poi rappresentare in Borsa i risparmi degli investitori.
Non si salva nessuno? Robert Gnaizda, il fondatore del Greenling Insitute, una vita con i consumatori, dice che anche con Obama, che s’è portato al governo quel Geithner ex capo della Fed di New York, è cambiato poco: "È lo stesso governo di Wall Street". Scusi, Ferguson, ma così non fa il gioco della destra alla vigilia delle elezioni? "Il mio dovere di film maker, di giornalista, è dire la verità, indipendentemente dalle conseguenze politiche. Però spero anche che il film possa finalmente spingere verso una riforma più forte".
Al di la del documentario, degli eroi e dei carnefici, della realtà e della fantasia, secondo l’ILO, la recessione del mercato del lavoro sta aggravando il clima sociale in numerosi paesi. .InternationaLabourOrganization Sin qui nulla di nuovo!
Tutto quanto è stato pubblicato nel " World of Work Report 2010: From one crisis to the next? dove si intravvede incoraggianti segnali di ripresa del mercato del lavoro in Asia e nell’America Latina.
Tuttavia, il Rapporto dell’Istituto internazionale di studi sociali dell’ILO avverte che “nonostante questi significativi risultati… nuove nubi sono apparse all’orizzonte e le prospettive dell’occupazione sono notevolmente peggiorate in numerosi paesi”. Lo studio dell’ILO segnala che, se le attuali politiche persistono, la situazione occupazionale delle economie avanzate ritornerà ai livelli antecedenti la crisi non prima del 2015 e non più, come previsto un anno fa, entro il 2013.
Come ho più volte sottolineato ad esempio in America non basteranno dieci anni per recuperare i posti di lavoro persi e ammortizzare le pressioni demografiche e migratorie. Ma è chiaro che la volontà politica è ridotta ai minimi termini quando non è connivente, non è facile cancellare trent’anni di sistematica e progressiva distruzione di un tessuto economico a favore di una deregolamentazione selvaggia, che ha dimostrato tutti i suoi limiti e tutti i suoi fallimenti. In questi anni sono stati creati posti di lavoro attraverso il debito, levereggiando le economie, posti di lavoro in economie dove la sovracapacità produttiva era già evidente ed è collassata nella nemesi dei mercati immobiliari e automobilistici. L’edilizia drogata dal credito facile ha visto moltiplicarsi le occasioni di occupazione, con un indotto strepitoso, che va ben oltre le imprese edili, ma che abbraccia l’industria del credito, broker, assicuratori, agenti immobiliari, notai, geometri,ingegneri, geologi, industria del giardinaggio e dell’arredamento, oltre a tutta la produzione di materiale per la costruzione di una abitazione o la sua ristrutturazione. Solo gli agenti immobiliari in Americano sono cresciuti del 50 % in quattro anni, per non parlare di quanto è accaduto in Spagna, paese che ha fondato la sua crescita solo ed esclusivamente nell’immobiliare.
Via Naked Capitalism, c’è un’interessante sintesi tratta dal sito Theburningplatform dove si ricorda come …
- The number of employed Americans has declined by 7.4 million since 2007.
- Goods producing jobs have declined by 19% since 2007, while service jobs have only declined by 2.8%.
- Luckily, Government jobs have actually increased since 2007.
- The population of the US has increased by 10.8 million since 2007.
- The working age population has increased by 6.5 million since 2007, while the work force has only increased by 1 million.
- Only 58.5% of the working age population in the U.S. is currently employed versus 64.4% in 2000, a lower level than in 1978.
In sintesi si ricorda anche quello che noi dal 2007 andiamo ripetendo costantemente ovvero che il tasso di disoccupazione reale va ben oltre le stime ballerine ufficiali del BLS, Bureau of Labor Statistics. Una volta che si i lavoratori scoraggiati, quelli costretti a lavorare a part-time, quelli che lavorano un’ora al giorno, considerati anch’essi occupati, quelli marginalmente orbitanti nel mondo del lavoro e utilizzando il metodo di misurazione della disoccupazione utilizzato durante la grande depressione e riprodotto da www.shadowstats.com, il tasso di disoccupazione reale è una depressione simile al 22,5%. Il tasso di disoccupazione al suo picco durante la grande depressione era il 25%.
Come dice l’articolo, non c’è dubbio che siamo in mezzo alla seconda grande depressione, ma dove sono le file dei disoccupati che aspettano pazientemente un pezzo di pane in America? Non è più necessario oggi vedere le file umane, oggi i sussidi di disoccupazione e i cosidetti " food stamp" buoni pasto per la sopravvivenza arrivano direttamente sul tuo conto corrente alimentando una carta di credito.
Non c’erano carte di credito nel 1933. Non stiamo parlando di quanto avviene in Italia, in Europa ma in America…
When I hear Obama and his minions blather on about the jobs we have added in the last six months, I want to break something. The truth is that the country should still have 64.4% of the working age population employed today as we did 10 years ago. That means we should have 153.5 million employed Americans today. Instead, we have 130.2 million employed Americans. That is a 23.3 million job deficit and the Obama administration crows when we add 50,000 new jobs in a month. Welcome to iDepression 2.0.
C’è molto di più nell’articolo in questione se volete vedere le cose da un’altra angolazione. Ma tornando ai dati ufficiale dell’ ILO…
(…)“Nei 35 paesi per cui sono disponibili dati, circa il 40 per cento delle persone in cerca di lavoro è disoccupato da più di un anno e rischia di demoralizzarsi, perdere stima in se stesso e avere problemi psicologici. È importante segnalare che i giovani sono stati i più duramente colpiti dalla disoccupazione.” “L’equità deve essere la bussola che ci conduce fuori da questa crisi”, ha affermato Juan Somavia, Direttore Generale dell’ILO. “La gente può comprendere e accettare delle scelte difficili solo se percepisce che tutti si stanno assumendo il proprio carico di responsabilità. I governi non dovrebbero dover scegliere tra le esigenze dei mercati finanziari e i bisogni dei propri cittadini. La stabilità finanziaria e la stabilità sociale devono andare di pari passo. In caso contrario, non sarà solo l’economia mondiale ad essere in pericolo ma anche la coesione sociale”.
Tra i principali risultati del nuovo studio dell’ILO, che raccoglie dati per oltre 150 paesi, si evidenzia:
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Casi di tensioni sociali legate alla crisi economica e finanziaria sono state registrati in almeno 25 paesi, molti dei quali avanzati. Anche in alcune economie emergenti sono state riscontrate tensioni sociali legate ai livelli salariali e alle condizioni di lavoro.
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Numerosi paesi che alla fine del 2009 avevano registrato una crescita occupazionale positiva, stanno ora assistendo ad un rallentamento della ripresa del mercato del lavoro. Allo stesso tempo, il rapporto segnala che nel 2009, nei paesi per cui sono disponibili dati, oltre 4 milioni di persone che erano alla ricerca di un lavoro hanno smesso di cercarlo attivamente.
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In oltre i tre quarti degli 82 paesi per cui sono disponibili dati, nel 2009 la popolazione ha percepito un peggioramento della propria qualità di vita e delle proprie condizioni di esistenza, in rapporto a quanto rilevato nel 2006.
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Anche tra i lavoratori il livello di soddisfazione professionale è diminuito significativamente e il senso di ingiustizia è aumentato in 46 degli 83 paesi.
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In 36 dei 72 paesi, oggi le persone hanno meno fiducia nei propri governi rispetto al periodo precedente alla crisi.
Per Raymond Torres, Direttore dell’Istituto internazionale di studi sociali e principale autore del rapporto, sono due le ragioni per spiegare lo sconfortante scenario che molti paesi si trovano ad affrontare: “La prima è che le misure di stimolo fiscale, che hanno permesso di prevenire un aggravarsi della crisi e rilanciare l’economia, oggi sono state interrotte in paesi dove la ripresa — quando c’è — è ancora troppo debole. La seconda ragione, ancora più importante, è che le cause profonde della crisi non sono state ancora adeguatamente affrontate”.
Il Rapporto afferma che “la coesistenza fra una crescita trainata dal debito in alcuni paesi industrializzati e una crescita guidata dalle esportazioni nelle maggiori economie emergenti ha dimostrato di essere il tallone d’Achille dell’economia mondiale”.
La ripresa continuerà ad essere fragile finché i salari continueranno a crescere meno velocemente rispetto agli aumenti di produttività e finché il sistema finanziario continuerà ad avere delle disfunzioni.
Lo studio dell’ILO propone un approccio triplice per uscire dalla crisi, un approccio che stimolerebbe la creazione di posti di lavoro nel breve periodo e una crescita economica di migliore qualità in futuro.
Questo approccio prevede, innanzitutto, il rafforzamento delle politiche incentrate sul lavoro volte a ridurre il rischio di una crescente disoccupazione di lungo periodo, di un aumento del settore informale e di una mancanza di manodopera specializzata in caso di ripresa. Queste misure includono politiche attive del mercato del lavoro ben definite, misure a sostegno dei gruppi più vulnerabili della popolazione, in particolare i giovani, politiche di formazione che siano funzionali alla ripresa economica — in quei paesi dove questa si verifica — e un sistema di protezione sociale centrato sull’occupazione. Il Rapporto fornisce esempi concreti di come queste misure siano già state sperimentate con successo in diverse regioni del mondo e non rappresentino un costo eccessivo per le finanze pubbliche. Inoltre, nel lungo periodo, queste misure sostengono la partecipazione al mercato del lavoro e la qualità dell’occupazione, riducendo di conseguenza la pressione sulla spesa pubblica e creando ulteriori redditi.
La seconda componente dell’approccio consiste nel promuovere un più stretto collegamento tra i livelli salariali e gli aumenti di produttività nei paesi eccedentari, poiché questo stimolerebbe rapidamente la creazione di occupazione sostenibile sia nei paesi in surplus che in quelli in deficit. Misure di questo tipo, sosterebbero la crescita in modo più efficace rispetto a una variazione dei tassi di cambio.
Infine, la terza componente presuppone la realizzazione di una reale riforma finanziaria che consenta di incanalare i risparmi in investimenti più produttivi e nella creazione di posti di lavoro più stabili…."
Non appena avrò tempo vorrei affrontare la QUESTIONE DELLA REDISTRIBUZIONE magari lo faremo a Modena, ma secondo il mio modesto parere, credere di poter risolvere questa dinamica che sembra strutturalmente avviata ad una nuova dimensione, è una pura illusione, a meno che qualcuno pensi ancora di risolvere la questione creando chissà dove una nuova bolla finanziaria, senza dimenticare poi l’imponente QUESTIONE DEMOGRAFICA.
Poi la discussione potrebbe continuare all’infinito, ognuno guarda al suo orticello, in fondo come diceva Truman, uno dei presidenti americani, recessione è quando tutti intorno a te perdono il posto di lavoro, depressione è quando all’improvviso un giorno ti accorgi di avere perso il tuo.
COMUNICAZIONE IMPORTANTE!
Ho bisogno di avere la conferma definitiva della Vostra partecipazione all’incontro di SABATO 6 NOVEMBRE contattando e prenotando direttamente all’HOTEL di MODENA. Nel caso di defezioni dell’ultima ora posso cosi dare il via libera a chi si è iscritto negli ultimi giorni. Nel fine settimana verrà inviata l’ultima comunicazione! Grazie e arrivederci a Modena!
Appuntamento a Modena il 6 novembre 2010
un momento di condivisione, di dibattito, di confronto per guardare oltre l’orizzonte…..
"VIAGGIO ATTRAVERSO LA TEMPESTA PERFETTA!"
Il programmma con gli ultimi dettagli e le indicazioni necessarie è stato inviato singolarmente a tutti coloro che ne hanno fatto richiesta. Se qualcuno volesse ancora unirsi ce lo faccia sapere direttamente tramite la mail.
icebergfinanza.bookreservation@yahoo.it
Inoltre due settimane più tardi, Sabato 20 novembre 2010
presso il
GRAND HOTEL di ACQUI TERME
Un weekend impegnativo ma anche divertente e rilassante, un confronto con le più autorevoli “penne” del web, ma anche una gita nella terra dei tartufi, dei vini, della buona cucina, dove la famiglia non si annoierà! Un weekend da non perdere!!! Un’occasione unica in Italia per affermare l’importanza e la qualità dell’informazione indipendente. Parteciperanno le più prestigiose firme del mondo dei blog economici
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Dare la colpa dell'attuale macello alla c.d. deregulation reaganiana (e quindi dare indirettamente colpa di tutto al c.d. neoliberismo) è un insulto all'intelligenza ed al vocabolario: quello che comunemente viene chiamato neoliberismo altro non è che socialismo mascherato. Come altrimenti definire un sistema economico dove non è previsto (né prevedibile, pena il collasso della baracca) il diritto/dovere di fallire per le imprese/istituzioni finanziarie?
L'epoca di Reagan per gli USA è stato invece il novello "paradiso keynesiano", visto che l'imponente crescita economica di quel periodo è stata fondata su spesa e debito pubblici, esattamente come il "buon vecchio" Keynes consigliava quand'era ancora in vita: ciò che ha fatto crescere l'America del 5% all'anno negli anni '80 è stato lo "sbragamento" del bilancio federale, chiamato a sovvenzionare l'industria degli armamenti (e quindi a cascata il resto dell'economia).
Oggi è vero, pertanto, che paghiamo caro gli errori dell'epoca di Reagan, ma definire la Reaganomics una politica liberal-liberista è quasi eresia: quella era – ed è tutt'oggi – una politica corporativista e lobbista!
Tojo
P.s. Trovo ottimo che si voglia procedere ad una riflessione sull'importante ruolo della demografia per i futuri scenari economici: il mio concittadino Gotti Tedeschi sostiene che l'economia occidentale è collassata (anche) per la sua crisi demografica; non ho abbastanza conoscenze per dire se abbia ragione o meno, però!
Non so, ma ho come l'impressione che i mercati abbiano già affrontato e considerato tutto quanto detto (e ridetto) ed ora stiano già guardando avanti: eurostoxx a 3000 per fine anno.
Quando le persone parlano di politica tendenzialmente si dividono. Ogni sistema è imperfetto, ma quello che dobbiamo decidere è se vogliamo vivere in una società di uomini liberi oppure no.
Andrea fa un ottimo lavoro di analisi macroeconomica della situazione, ma poi non vuol parlare di teorie economiche (keyns/austriaci e batte la pesca). La proposta dei "mondi alternativi" c'e' ed è interessante, importante e reale, ma se non entriamo nel merito delle regole economiche/umane facciamo la fine dei Don Chisciotte.
Appurato che in questi ultimi trent'anni si è creato un debito enorme sia pubblico e privato improduttivo, altrimenti saremmo già stati in grado di ripagarlo. Dobbiamo entrare nel merito, perchè, altrimenti, mentre io sono intento a solidariezzare con i miei simili con i Gas, la Banca del tempo e gli orti urbani, il mio Stato va in defualt e non posso più circolare per le strade, i miei risparmi vanno a puttane (ovunque siano anche sulle banche etiche) e mi dovrò mettere in fila per i food stamp all'italiana. Che la deregolamentazione abbia craeto sto casino è una fesseria. Ma quale deregolamentazione: negli anni '50 mio padre ha costruito il suo futuro con tanto lavoro e senza tante fatture/bolli/registri/usl/626/ecc si è comprato una signora casa, che ha tuttora , facendo un mutuo di sei anni. In modo onesto: lavoro, guadagno il giusto commisurato al mio impegno ed alla mia abilità personali e costruisco un futuro sereno per me e la mia famiglia (per inciso mio padre ottantette non ha la pensione, ma vive dei suoi risparmi). A proposito di solidarietà: in quella casa grande ci hanno abitato per vent'anni la famiglia dei miei zii senza pagare una lira di affitto.
Sfido chiunque di voi a fare le stesse cose oggi e ad ottenere gli stessi risultati.
Altro che democrazia, libertà e deregulation.
Junka
E' esattamente quello che sta succedendo oggi nei paesi emergenti.
Allora l'Italia era un paese emergente, i tempi sono cambiati,oggi abbiamo lo stato sociale (assistenza, previdenza, sanità scuola ecc), ma lo dobbiamo mantenere senza fare altri debiti.
I tempi eroici, come li chiama mio padre ultraottantenne, sono finiti.
La deregulation selvaggia non e’ storia del secolo scorso ma di questo ultimo decennio quello di un capitalismo senza punizioni e fallimenti, del troppo grandi per fallire, della privatizzazione dei profitti e della socializzazione delle perdite con la connivenza politica e mi fermo qui ! Andrea
quando la voce + importante del pil di moltissime nazioni è data dall'industria bellica non c'è altro da aggiungere.
basta conoscere la storia e vedere che chi ha avuto sempre la meglio è stata la potenza con più forza militare e che compiva più atrocità possibili,sono cambiati gli attori ma
il filo conduttore era ed è rimasto sempre questo c'è un solo regista dietro tutto questo il cui unico scopo è l'eliminazione del genere umano con qualunque arma .
Considerando che la popolazione del genere umano è stata praticamente sempre crescente nella storia, forse con un breve arresto nei secoli immediatamente successivi ala caduta dell'impero Romano direi che il regista non sta avendo un gran successo, a meno che non abbia capito che il miglior modo per distruggere un ecosistema è sovrppopolarlo.
Andrea, mi interessa l'idea di approcciare l'argomento demografico in relazione alla crisi, anche se credo le nostre opionini siano decisamente divergenti.
@ Junka. Mi ritrovo perfettamente nelle tue parole e l'esempio che hai fatto, sulla molta maggiore libertà economica negli "arretrati anni '50/'60", è calzantissimo: oggi non solo non abbiamo più libertà economica di prima, ma ci siamo – noi italiani ed in gran parte anche europei ed americani – accollati incredibili "palle al piede", rappresentate da tutto il sottobosco burocratico-amministrativo-politico, che deve la sua sopravvivenza alla sempre maggiore complicazione normativa (che permette di creare sempre nuovi enti e nuovi posti di lavoro, a discapito però di coloro che davvero creano ricchezza).
Non è per fare proclami inutilmente roboanti, ma oggi non serve ulteriore regolamentazione finanziaria, ma semplicemente due cose:
1) riduzione del peso dello Stato in tutti i campi; e soprattutto
2) ferrea applicazione dell'unica cosa che non si può chiedere che sia il capitalismo e l'economia di mercato a fare, ovvero la Legge ed il Diritto, facendo pagare (con il fallimento economico) chi sbaglia. Diamo alle imprese la "libertà" di fallire e non ci sarà più bisogno di disquisire di teorie economiche, di Keynes, di Hayek, di Rothbard, etc. etc.
Tojo
Crisi demografica… nel senso che siamo troppi, o troppo pochi, o troppi vecchi rispetto ai giovani?
Il problema al primo ordine e' che siamo in troppi e stiamo divorando tutte le risorse mondiali ad un tasso fortemente superiore a quello della loro naturale ricostituzione.
Al secondo ordine, e' l'ingiusta distribuzione della ricchezza.
A parimerito, l'iniqua diffusione dell'istruzione, specie nei confronti delle donne.
Questi ultimi due elementi, se sviluppati, dovrebbero (dico dovrebbero) portare ad un controllo delle nascite e ad un corretto uso delle risorse, magari anche ad un diverso modello economico, possibilmente in equlibrio omeostatico, come lo sono tutti i sistemi dinamici della terra (tranne a quanto pare quelli inventati dagli uomini).
Se gli uomini davvero si pensano come comunita' di esseri ragionanti e non una colonia batterica su uno zuccherino, dovranno imparare a redistribuire e limitarsi.
L'alternativa e' l'estinzione.
Saluti
Phitio
@9
Quella che descrivi e' semplicemente la legge dei ritorni decrescenti della complessificazione.
Porcedendo ulteriormente verso la complessita', un sistema inizialmente aumenta l'efficienza, poi raggiunge un picco e infine ogni uteriore incremento di complessita' diventa disfunzionale.
IN pratica, le societa' troppo complessificate innescano un processo degenerativo che le riportera; ad un livello di semplificazione. Talvolta molto spinto.
Questo termine asettico, semplificazione, in realta racchiude una serie di stravolgimenti e sofferenze terribili, se il processo viene effettuato senza gradualita' ed in maniera caotica.
Purtroppo e' proprio quello che sembriamo intenzionati a sperimentare, perche' la nostra vista e' diventata cortissima, non vediamo piu' chiaramente il futuro.
Saluti
Phitio
le borse continuano a salire e fingono di stornare chi è rimasto senza lavoro si arrangia la vita continua.
12 spero che tu rimanga senza lavoro e finisca sotto un ponte …con la borsa
la differenza rispetto ai dati e tabelle che ci sono interfacciati i comportamenti umani giusto il discorso dei sistemi complessi perchè è l'uomo nella sua natura che complica le cose e il sistema tende sempre all'autodistruzione questo lo si può vedere nelle civiltà passate molte delle quali sono sparite ora che si parla di globalizzazione l'errore è mondiale dunque la tendenza all'autodistruzione riguarda tutto il pianeta.
l'uomo da solo non riuscirà a farcela creando altra civiltà come nel passato
solo il Buon Dio lo potrà aiutare
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Casi di tensioni sociali legate alla crisi economica e finanziaria sono state registrati in almeno 25 paesi, molti dei quali avanzati. Anche in alcune economie emergenti sono state riscontrate tensioni sociali legate ai livelli salariali e alle condizioni di lavoro.
Attendiamo di vedere qualcosa di più decisivo di sporadici casi di tensioni sociali. Per chi governa è rumore di fondo.
Solo reali e prolungati disordini e rivolte nei paesi ricchi indurranno se non ad un cambio di rotta almeno ad aggiustamenti più concreti.