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IRAQ: L’INFLAZIONE PUO’ ATTENDERE!
Abbiamo visto nei giorni scorsi per quale motivo è assolutamente anacronistico preoccuparsi dell’inflazione presente e futura in mezzo ad una deflazione da debiti ad una recessione “balance sheet” ovvero ciò che avviene dopo lo scoppio di una bolla quando i privati pensano solo ad aggiustare la loro disastrata situazione patrimoniale riducendo il debito ( debt deflation & deleveraging ) e rifiutandosi di assumerne altro anche in presenza di condizioni ottimali.
Ora i paranoici dell’inflazione tirano di nuovo fuori la storiella del prezzo del petrolio, sai l’Iraq oggi, ieri il canale di Suez, l’altro ieri la Libia.
Ma in realtà nulla di particolare è accaduto in questi anni alle quotazioni del petrolio, tranne nell’estate del 2008 quando un nutrito gruppo di psicopatici cocainomani nascosti dietro un computer degli hedge fund o delle banche d’affari in primis Goldman Sachs, gettavano benzina sul fuoco dei futures con la gentile compiacenza della Commodity Futures Trading Corporation (CFTC) agenzia governativa statunitense preposta al regolamento dei derivati finanziari.
Se ci riprovano di nuovo ci fanno solo un grande favore, un prezzo del petrolio oltre i 150 dollari al barile, per ritoccare il precedente primato non farebbe altro che far crollare l’economia mondiale e sappiamo tutti come è andata a finire dopo il picco del 2008…
Tornando a noi come ben spiegato in questo articolo su Econbrowser Iraq, oil markets, and the U.S. economy gli effetti di un conflitto di un certo rilievo in Iraq sono al momento marginali per l’economia americana ma non solo.
I combattimenti stanno avvenendo nella parte settentrionale dell’Iraq dove l’unico terminale petrolifero degno di nota è protetto dai curdi, mentre i principali siti di produzione sono al sud dove avviene circa il 90 % dell’intera produzione ed esportazione del petrolio iracheno.
Inoltre negli ultimi tre anni la produzione americana di petrolio è passata da 5,5 milioni di barili al giorno a 8,5 milioni con la possibilità di radoppiare entro un paio di anni e siamo in piena staginflation o stagdeflation come meglio volete chiamarla, una stagnazione mondiale.
Inoltre l’incidenza del petrolio iracheno in questi anni è stata piuttosto limitata visto la dinamica e le aspettative di triplicare la produzione sono solo un’illusione, che nei migliori dei casi potrebbe raggiungere i 6000000 di barili al giorno entro il 2020.
Inoltre anche le dinamiche del petrolio libico non sembrano aver influenzato più di tanto ne il prezzo del petrolio ne le dinamiche inflattive.
Chissà forse solo con un nuovo e massiccio intervento militare americano in Iraq, con l’avvio di un nuovo sforzo bellico, l’economia americana potrebbe ripartire e forse sperare di ricreare le condizioni minimali per un rigurgito inflattivo, ma questa volta è diverso.
Nonostante tutto le aspettative sono quelle che passa il convento…
L’importante è cha a qualcuno per l’ennesima volta non venga in mente di dire che… «L’America non corre un rischio immediato di recessione la nostra è infatti un’economia di guerra dove, per esempio, la caduta verticale dei prezzi immobiliari può essere compensata dalla domanda di armamenti e nell’occupazione delle nostra gioventù al fronte».
Loro ci stanno già pensando … Iraq, Obama accerchiato dagli interventisti
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Hanno distrutto un paese deponendo un despota reo di avere arsenali con armi di distruzione di massa. ( mai trovati )
La stessa cosa hanno fatto in Libia e la stessa cosa vorrebbero fare in Siria.
Il risultato è sotto gli occhi di tutti. Il medio oriente in fiamme.
Qui gli unici che hanno le armi di distruzione di massa sono gli States.
Ora l’unica cosa da capire è se sono più devastanti quelli della Fed o quelli del Pentagono.
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mmm sento puzza di ….. petrolio!!!!