THE DAY AFTER: Il risveglio!
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Secondo la mitologia greca, Morfeo nelle sue frequenti apparizioni notturne, prendeva le forme delle persone o delle cose sognate. Egli quando inviava sogni popolati da forme umane portava sempre con sé un mazzo di papaveri con cui, sfiorando le palpebre dei dormienti, donava loro realistiche illusioni.
Morfeo, il dio del sonno, spesso ci illude di risolvere i problemi e allontanare stanchezza e dolori, ma non sempre le sue braccia riescono ad avvolgerci e cullarci teneramente. I pensieri allora ingigantiscono e i sogni diventano incubi.
Trascorriamo la metà della nostra esistenza tra le braccia del sonno, viviamo al ritmo del sonno-veglia che scandisce la nostra vita.
Secondo alcuni studiosi, il cervello durante il sonno, ha modo di riorganizzare i suoi sistemi, ha il tempo di depositare la memoria delle esperienze della nostra vita. Dall’albero del sonno, noi cogliamo i frutti dei nostri sogni.
Credo che ormai da lungo tempo i mercati finanziari si stiano lasciando cullare dall’ebrezza del sogno, la fantasia e l’illusione di una nuova era.
In riferimento al mercato immobiliare ho ripreso il paragone relativo alla sindrome di Peter Pan, ovvero la voglia di rimanere bambini pur di non entrare in una realtà che si considera ostile, in sintesi il rinvio dell’assunzione di responsabilità.
Aristotele riteneva che chi stà sveglio, chi ha sensazioni, percepisce qualunque stimolo gli venga dall’esterno o si formi in lui. Lo stato di veglia in nient’altro consiste che nell’esercitare le sensazioni.
Mai come in questo tempo, forse memori dell’esperienza passata e non tanto lontana della New Economy dicevo, mai come oggi si sente parlare del pericolo di mille bolle che starebbero per scatenare una catastrofe finanziaria.
Innumerevoli e continui ammonimenti, studi e segnali portano tutti in un’unica direzione: una incessante e continua richiesta di moderazione.
Nell’animo umano è troppo grande e talvolta impellente l’impulso della sfida, l’impulso della scommessa, del rischio.
Leibniz diceva che la Natura ha stabilito degli schemi che hanno origine dal ripetersi degli eventi, ma soltanto per la maggior parte di essi.
Soltanto per la maggior parte di essi, quindi resta lo spazio per la sfida, il rischio quel sottile confine che aberra tutto ciò che è prevedibile. Peter L. Bernstein nel suo libro, Più forti degli Dei richiama lo stesso concetto aggiungendo che malgrado gli strumenti ingegnosi creati per attaccare da più parti l’enigma del rischio, discontinuità, irregolarità e instabilità sembrano proliferare, invece di diminuire.
Nel mondo della finanza, compaiono nuovi strumenti a ritmo stupefacente, i nuovi mercati stanno crescendo più velocemente di quelli vecchi e l’interdipendenza globale rende sempre più complessa la gestione del rischio. L’esempio più noto di questo concetto è il battito d’ali di una farfalla alla Hawaii che costituisce la causa ultima di un uragano ai Carabi.
Lasciamo per un istante i concetti legati agli squilibri e possibili rischi sistemici di cui in questi giorni si parla spesso e addentriamoci nella realtà dei dati e dei settori economici, cercando di evidenziare quelle che sono le criticità di questo tempo.
Analizzerò soltanto le possibili variabili negative anche perché vi è già un oceano di cantori della magnificenza di questa nuova era.
Partiamo innanzitutto dalla recessione immobiliare per quanto i fautori dell’ottimismo ad oltranza non ne vogliono considerare la gravità intrinseca. Ci si ostina a chiamarla correzione, ci si ostina a considerarli “aggiustamenti” , problemi circoscritti, gestibili e trascurabili in nome di una Federal Riserve che ogni giorno sorprende per la sua lenta e inesorabile consapevolezza.
“ IN FED, WE TRUST” ecco trasformato il moto che appare sulle monete da un penny americane, una fede totale nell’unica istituzione mondiale che in apparenza potrebbe modificare gli eventi, intervenire e salvare sempre e comunque la situazione.
In sostanza un continuo e progressivo appiattimento in nome di una azzardo morale costante, una “moral hazard” che vede nella FED la risoluzione di tutti i problemi.
Non “ IN MARKET, WE TRUST”, non nelle capacità del libero mercato, non negli anticorpi spontanei, ma sempre e comunque nella medicina finale si confida.
Un certo Ranieri, inventore negli anni ’90 dei titoli sostenuti dai mutui ipotecari e quindi padre del mercato MBS, ha dubbi immensi che la FED questa volta possa fare qualcosa!
Iceberg direi io, di cui alcuni analisti si ostinano a vedere il piccolo igloo con il pinguino di contorno che in fondo soffre solo il caldo di questo “inferno” subprime, iceberg di cui nessuno conosce la parte sommersa, quella che più di tutte nasconde le sorprese future.
Profeti di sventura contro illusionisti che dipingono cieli blu infiniti, uno scontro tra titani, uno scontro tra concezioni diverse di valutare la realtà.
Compromessi di acquisto disdetti regolarmente, richieste di ipoteca e rifinanziamento per la prima volta in discesa, fiducia dei costruttori e profit warning a cascata.
Roccaforti come New York vedono progressivamente esaurirsi la spinta propulsiva dei prezzi, “foreclosure” in rapido aumento ed elemento essenziale in un mercato illiquido come il mercato immobiliare
Liquidità in costante contrazione sia per opera della dinamica dei tassi in aumento sia ad opera della contrazione del credito in seguito alle vicende "subprime".
Della vicenda relativa al mercato MBS e i relativi CDOs veri propulsori della bolla immobiliare ho già parlato nel precedente post, ma aggiungo soltanto due veloci considerazioni.
Il mercato dei CDO estremamente illiquido e difficilmente valutabile contribuirà a rendere ancora più severa la recessione immobiliare senza dimenticare che i CDO sono il sostegno di un’altro fenomeno di questo Eldorado finanziario. I CDO hanno sostenuto la maggior parte delle operazioni LBO ovvero leveragebyouts messe in opera dai fondi di private equity e buona parte delle M&A operazioni di fusione ed incorporazione in atto in ogni parte del globo, quindi anche se solo per un istante dovesse esserci la consapevolezza che la festa è finita,il credito, la liquidità si prosciugherebbe in un istante, creando un mare di default.
Leggetevi questo articolo pubblicato sul http://business.bostonherald.com/businessNews/view.bg?articleid=1008684 avrete un assaggio dei possibili sviluppi nei fenomeni LBO & M&A.
Estremamente pessimista? Tendenzialmente realista con una speranza nel cassetto!
Cercherò di essere breve, anzi no, sedetevi e preparatevi ad un lungo elenco di realtà forgiate dal risveglio da un lungo sonno.
Analizziamo ora alcuni fattori relativi al mercato delle materie prime e in particolar modo la questione energetica. Il petrolio stà flirtando con quota 73 dollari e il mercato non ha fatto una piega mentre alcuni analisti sostengono che sino a 80 dollari i mercati sono in grado di assorbire la salita. Crescita mondiale, progressiva estinzione delle risorse energetiche, il collo di bottiglia perenne della raffinazione, la questione geopolitica e la stagione degli uragani nulla di tutto ciò interessa in questo mondo fatato.
E qui prendo l’occasione per riagganciarmi all’ormai famosissima " inflazione core" depurata dalle tensioni energetiche ed alimentari che erodono quotidianamente il potere di acquisto dei consumatori. Un coma artificiale indotto, una massa monetaria M3 occultata e un limite il 2% che assomiglia alla linea del Piave con una margine di sopportabilità teorico e manipolato a piacimento.
In America il risparmio è sempre più figlio di una negatività diffusa, i consumatori privi delle risorse finanziarie che attingevano dall’incremento delle loro abitazioni oggi attingono alle loro carte di credito, ai finanziamenti diluiti nel tempo combattendo una lotta impari contro l’energia, i costi alimentari e la svalutazione del dollaro, che solo il mistero di questo tempo ne nasconde le storiche e accademiche proprietà inflative.
Dollari al posto dell’Oro! Ma certo, una banconota sostenuta dalla fede di una promessa di una convertibilità assoluta, non più tanto oro per tanti dollari ma solo la speranza che paesi mediorientali e orientali continuino a investire in bond americani dimenticando quella materia prima fantasma, l’oro appunto.
Dimenticando quella sensazione, quella percezione che il rischio va adeguatamente ricompensato e che se il dollaro tende a svalutarsi troppo velocemente in fondo gli interessi dovrebbero essere più generosi e che per essere così generosi i tassi dovrebbero salire sino al livello di massima allerta per tutto il sistema.
Stampe e fotocopie di dollari a cascata per tutti, debiti personali e deficit commerciali, un’economia sana, una nuova economia.
I consumi che dopo gli investimenti stanno per abbandonare la corporate americana che stà a galla grazie ai profitti globali figli di un dollaro in declino, consumi resistenti ad ogni scossa tellurica,dal mercato immobiliare ai tassi di interesse in rialzo, dalla crescita recessiva del primo trimestre alle pressioni energetiche ed alimentari, stanno incominciando a soffrire con prezzi in sostanziale aumento e redditi e patrimoni stabili o in regressione. L’indice Redbook è caduto ad un basso livello ciclico e il crollo del settore automibilistico ne amplifica i movimenti. Presi dall’esaltazione di un’inflazione core rientrante al livello del 1,9 % i mercati non si sono accorti della significativa frenata dei consumi, che presuppone un chiaro rallentamento a circa l’1,7 % contro una spesa annuale del 4,2 % nei due trimestri precedenti.
Vedremo l’incidenza sul PIL del secondo trimestre, considerando che quest’ultimo è composto per quasi il 70 % dai consumi, ma state pur certi che il nuovo tormentone estivo si concentrerà sulla presunzione di un rimbalzo dell’economia nel prossimo semestre, con una ripresa dei consumi, con una ripresa della produzione, con una ripresa dell’immobiliare, con una ripresa……con una ripresa della fantasia!
Il comunicato della FED rispetto all’inflazione è che “una moderazione continua delle pressioni inflazionistiche deve ancora essere dimostrata in maniera convincente”.
La saggezza convenzionale suggerisce che la recessione immobiliare non stà contaminando l’economia ma i consumi che come detto in precedenza segnalano invece un progressivo cambio di tendenza, sottolineato dalla lenta ed inesorabile erosione del MEW.
Il miglioramento del Pil nel secondo trimestre riflettera la ricostituzione degli inventari da parte delle aziende che hanno riflesso il loro iniziale pessimismo. L’aumento della produzione dovrà trovare riscontro nelle vendite, nei consumi se no solo le esportazioni potranno salvare gli eccessi, grazie al nuovo improvviso crollo del dollaro, svalutazione doc per un rimedio sempreverde.
Il miglioramento del settore manifatturiero è figlio delle esportazioni e della ricostituzione dell’inventario, piuttosto che per una ripresa della domanda interna.
Gli ordini di merci durevoli sono caduti del 2,8 % dopo tre mesi consecutivi di guadagni e il rapporto finale sembrerebbe suggerire che la ripresa del settore manifatturiero è molto più debole di quanto rilasciato dall’indice ISM, un indice sostanzialmente di fiducia, dati reali che indicano che il mese precedente è stato solo un’anomalia positiva.
Premetto che credo ben poco all’importanza di indici di fiducia calcolati su campioni insignificanti della popolazione o degli imprenditori , indici che sono più un contorno che una variabile stabile su cui fare affidamento costante. Ma allora cosa vorrebbero dire i segnali che arrivano dalla Germania e dalla Francia, e dagli Stati Uniti dove l’indicatore del Conference Board scende di cinque punti e quello dell’Università del Michigan che testimonia un deterioramento dei giudizi sulle condizioni correnti e le attese a breve termine?
Gli ordini all’industria scendono per la prima volta dopo quattro mesi, bene allora si festeggia perché sono scesi poco rispetto alle previsioni. Previsioni che provano a scoprire la via maestra nella nebbia di questo tempo, previsioni spesso errate.
Secondo alcuni le valutazioni di mercato sono sotto controllo con P/E nella norma, ma se prendiamo i profitti “normalizzati” il rapporto prezzi utili è molto più in alto, vicino a 25 volte.
Non da ultimo il “cambiamento climatico globale” in direzione di un rialzo nella temperatura dei bonds, delle obbligazioni che ormai vanno verso la direzione di rendimenti che rendono meno attraente il mercato azionario in rapporto al rischio che esso incorpora.
Potrei continuare all’infinito ma preferisco spendere alcune riflessioni per uno degli ultimi motori funzionanti dell’economia americana, l’occupazione.
Secondo il rapporto mensile dell’ ADP , Automatic Data Processing Inc. i nuovi posti di lavoro sono stati circa 150.000 ai quali vanno aggiunti una media di circa 26.000 posti di lavoro che provengono dal settore pubblico per un totale probabile ma non certo di 176.000 nuovi posti di lavoro che verranno comunicati oggi dal BLS. Le attese medie sono per 130.000 ma alcuni analisti prevedono una sorpresa vicina a 100.000.
Ora non vi è dubbio che se eliminiamo definitivamente la palla al piede del settore manifatturiero che ha perso ulteriori 13.000 posti portando il totale da inizio anno a circa 90.000 e il settore delle costruzioni di cui si sospetta il probabile crollo a breve termine, dopo l’estate, l’America sta per trasformarsi esclusivamente in un paese produttore di servizi.
Resta sempre e comunque il tarlo infernale delle revisioni che ricordo recentemente hanno portato ad una rivisitazione del dato complessivo relativo all’occupazione relativa al terzo trimestre 2006 da parte del BLS, a 19000 unità rispetto alle 498.000 comunicate.
Se i numeri non sono un’opinione, i dati comunicati solitamente sono una fantasia corrente.
Concludo con la speranza che la consapevolezza quotidiana prenda il posto dei sogni, che gli anni di questo nuovo “miracolo economico” fondato sul debito hanno distribuito gratuitamente nelle menti del sonno globale.
Gli ultimi dati sono forieri di negatività assoluta e siamo in prossimità dei mesi festivi l’ultima speranza per un anemico rimbalzo. Abitazioni nuove ed esistenti in calo continuato, prezzi media in discesa e inventari che sistematicamente allungano i tempi di smaltimento.