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ANATOMIA DI UNA SORPRESA. CEDE LA DIGA DEI BONDS!
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Alla vigilia del grande crollo del 1929, un professore della Ivy League, una sorta di aristocrazia intellettuale, Lawrence di Princeton dichiarò pubblicamente:
“ L’unanime giudizio di milioni di persone, le cui valutazioni muovono quel mirabile mercato che è la borsa, è che i titoli non sono attualmente sopravvalutati.”
E aggiunse “ Dov’è il gruppo di uomini dalla sconfinata saggezza che li autorizza ad opporsi al giudizio di questa intelligente moltitudine?”
Oggi, spesso si sente giustificare la ormai lunga ed interminabile sequenza di rialzi intervallati da piccole prese di beneficio, con la valutazione dei mercati da considerarsi in linea o leggermente sopra i fondamentali di medio lungo periodo.
Ed ecco che per incanto analisti ed economisti, utilizzano la parola magica:
PRICE EARNINGS RATIO. Il rapporto tra la capitalizzazione di borsa e l’utile netto comunicato al mercato. Un viaggio nel futuro, che in sostanza ci dice quanti anni occorrono per recuperare il prezzo dell’azione, nel caso che la società sia in grado
di garantire un flusso continuo di utili pari almeno a quello previsto.
Se però dividiamo il P/E RATIO per un’ipotetica perdita avremo una cifra sostanzialmente poco significativa.
Ogni stima in questo senso viene effettuata da un analista, o da società di analisi talvolta direttamente interessate, e quindi sono stime e dati che assumono carattere esclusivamente soggettivo. Come detto più volte in passato, niente di male, ma un dato resta oggettivo sino a quando qualcuno non lo analizza, lo confronta, ed alle volte anche lo manipola.
La settimana scorsa è apparso su MarketWatch.com un articolo che prende in considerazione l’inquietudine dei mercati azionari rispetto alla sostenibilità della crescita degli utili delle società americane.
Le prospettive non sembrano affatto buone, come per la verità non lo sembravano anche nel primo trimestre dove la performance è stata del 8,3 % chiudendo una striscia record di 14 trimestri consecutivi a doppia cifra. Secondo la società Thomson i profitti si svilupperanno al tasso del 3,8 % nel secondo trimestre come conseguenza del crollo del mercato immobiliare e delle pressioni energetiche che stanno incominciando ad interessare i consumi interni.
Tempo fa ed anche recentemente, sul Sole 24 Ore, Fabrizio Galimberti, facendo riferimento all’indice Wilshire 5000 che prende in considerazione un numero più rappresentativo del pianeta corporate americano evidenziò che la triplice combinazione data dal rallentamento dell’economia, dalle pressioni salariali e dalla minor produttività avrebbe portato all’inizio di una fase di stanchezza dei valori azionari, ricordando che dal 1995 ad oggi tale indice è cresciuto più dei profitti, facendo dimenticare quella sensazione di prezzi a buon mercato.
Prezzi che sopravanzano del 10 % i profitti dichiarati riportando alla memoria quando nel 1995 Greenspan lasciò il segno nei mercati, parlando di “esuberanza irrazionale”.
Aggiunge Galimberti che, se non esuberanti, le quotazioni sono troppo ottimistiche in una fase di rallentamento economico.
Lasciamo ora per un attimo la questione relativa alle prospettive future degli utili aziendali e le loro valutazioni, per spostare la nostra visione sulle prospettive di aumento dei tassi e delle pressioni salariali.
Anatomia di una sorpresa: Cede in tutto il mondo la diga dei bonds!
Dopo aver alimentato per anni il leggendario “conundrum” di Alan Greenspan la grande diga dei rendimenti a lungo termine è crollata sotto il peso di una spinta massiccia di fattori combinati.
Ricoperture improvvise da parte di coloro che avevano aperto posizioni lunghe scommettendo sul ribasso dei tassi, timori per la dinamica futura del mercato immobiliare che vedrebbe aumentare le possibili insolvenze e via dicendo.
I treasuries decennali oltre il 5,3° %, il bund al 4,70 %, i btp decennali sopra il 4,80 % e i gilt inglesi oltre il 5,5° %.
Ovviamente quando cede una diga, talvolta il panico assale gli operatori, in questo caso del mercato obbligazionario, ma questo vale per l’intero mercato.
Avviando ora un ragionamento semplice, semplice se noi prendiamo ad esempio il dato relativo al dividendo medio di Piazza Affari che sarà in media circa del 3,5 % si può notare come ormai il confronto con i rendimenti obbligazionari si fa sempre più serrato.
Lasciamo perdere i rendimenti a lungo termine per i quali non vale la pena di impegnarsi , in quanto i prezzi stanno scendendo e forse scenderanno ancora e le cedole non sono proporzionate al rischio di vedere immobilizzato per lunghi anni il capitale.
Tassi in crescita significa essenzialmente che le risorse per i consumi tenderanno a scendere, in quanto chiunque abbia l’onere di un mutuo dovrà fare i conti con una rata più sostanziosa abbinato al fatto che con le quotazioni della casa in discesa ben difficilmente vi sono spazi per la rinegoziazione dei mutui.
Non vi è dubbio inoltre che in questo periodo le borse sono state sostenute dalla mergermania che ora dovrà vedersela con tassi di finanziamento che diminuiranno il sostegno ai prezzi di mercato.
Crisi di liquidità per il pianeta private equity? Recentemente su questo blog abbiamo rispolverato la dinamica che portò nel 1998 alla crisi del LTCM uno dei più colossali fondi hedge mondiali, il quale fù affondato a causa di un particolare non indifferente: nonostante la lunga fila di premi Nobel, scienziati ed ingegneri della finanza mondiale, magiche formule matematiche e fisiche crollò a causa di un piccolo particolare trascurato, l’improvvisa mancanza di liquidità!
Ovviamente resta sempre la possibilità di indebitarsi in franchi svizzeri e yen, ma a breve i fenomeno carry trade è destinato ad un’inversione che anche l’analisi tecnica di lungo periodo stà chiamando oltre che di natura fondamentale.
La magica via dell’Oro sulla tratta Japan-New Zeland stà glorificando la speculazione; in Giappone ci si indebita al 0,5 % ed in un battito di ciglio si raggiunge l’8 % della Nuova Zelanda!
"Anomalie" che quando si aggiusteranno, assumeranno la dimensione di una valanga!
A proposito che faranno le autorità cinesi, come diversificheranno quel mare di treasuries americani che stà portando discrete minusvalenze?
A dimenticavo e l’aria mediorientale con le riserve petrolifere giacenti in un mare di dollari? Rendimenti in salita e quotazioni depresse? E gli hedging sul mercato subprime?
Un oceano di interrogativi, attualmente senza risposta o quasi!
L’inflazione è solo un dolce ricordo per il Giappone, ed allo stato attuale una leggera brezza per le economie occidentali, ma la crescita spinge in tutte le direzioni basta pensare alla Cina che si ritrova un crescita inflativa ai massimi da due anni! E qualcuno crede ancora che non si ripercuoterà sui profitti della globalizzazione!
Qualche analista come ad esempio Michey Levy di Bank of America sostiene che vi sono timori eccessivi sui prezzi ricordando che le pressioni sui costi in paesi quali Cina ed India non sono facilmente trasferibili negli Usa e che ad una minor spesa al consumo e investimenti aziendali fa da contraltare il maggior contributo della bilancia commerciale e dell’export. L’occupazione si è dimostrata più robusta del previsto ed il settore immobiliare non dovrebbe subire altri gravi rovesci.
Bene ora analizziamo ogni singola affermazione!
Sinora tutti sono stati d’accordo che gli effetti benefici del mercato del lavoro orientale ha contribuito a tenere bassa l’inflazione nei paesi occidentali, che diversamente con materie prime e specialmente petrolio in continua tensione avrebbe assunto notevole dimensione. Lo stesso responsabile della sede di Dallas della Fed, Fischer ha affermato che ormai stà cambiando il vento favorevole.
Per quanto riguarda i consumi ormai lo sanno tutti che costituiscono quasi il 70% del PIL americano e che gli investimenti sono essenziali per un’economia in espansione, ma no, quando risulta comodo si riesce a vedere il bicchiere, mezzo vuoto o mezzo pieno.
I consumi salgono del 1,3 % ai massimi dell’ultimo anno ed allora perché WalMart, Penny’s insomma le grandi catene di vendita del pianeta americano si lamentano per la dinamica, perlomeno debole dei consumi?
Le prospettive? Ma certo le prospettive fanno comodo solo quando sono positive!
Infine vorrei chiedere al signor Levy, se ha presente che l’ultima revisione trimestrale del mercato del lavoro effettuata dal BLS, ( trattasi ormai di economie di revisione costante) ha portato la cifra iniziale di 498.000 unità a soli 19.000!!!
E che sempre più attori del mercato immobiliare, dai costruttori ai singoli analisti stanno convergendo sul fatto che questa recessione immobiliare è solo all’inizio!
Un’economia di revisione, un mare di dati che non rispecchiano assolutamente la realtà di ogni giorno, la realtà sociale, di coloro che vivono le difficoltà quotidiane e badate bene, questo non avviene solo in America!
L’aria è cambiata, e non importa se qualcuno stà cercando di tenere su artificiosamente ciò che ormai è destinato ad una profonda revisione, ma Keynes ci ricorda che se le famiglie decidono di risparmiare di più e spendere meno la spesa in consumi scenderà e gli investimenti diminuiranno.
In ogni caso il tasso di interesse può non scendere per reazione alla maggiore propensione al risparmio e sempre Keynes sosteneva che l’interesse è un compenso per la rinuncia alla liquidità, non per l’astensione dal consumo e che quindi l’inflazione è un “premio” per il risparmio.
Inoltre per quanto riguarda la spesa per investimenti può anche essere dovuta al fatto che le imprese hanno esaurito tutte le occasioni per fare profitti.
Concludo con un’interessante analogia che ho trovato sul libro di Peter L. Bernstein dal titolo “ Più forti degli Dei! La straordinaria storia del rischio” dove si legge che:
“ Sino alla fine degli anni ’50 , il possesso di azioni aveva assicurato un guadagno maggiore di quello delle obbligazioni. Ogniqualvolta i rendimenti si avvicinavano, il dividendo delle azioni ordinarie si spostava sino a superare il rendimento delle obbligazioni.(…)
Non è quindi sorprendente che gli investitori acquistassero azioni soltanto quando queste rendevano di più delle obbligazioni. Ne è sorprendente che i prezzi delle azioni scendessero ogni qualvolta il loro rendimento si avvicinava a quello delle obbligazioni. Fino al 1959 era stato così. A quel punto, i prezzi delle azioni volavano e i prezzi delle obbligazioni scendevano. (…) Il vecchio rapporto fra obbligazioni e azioni svani, aprendo un divario così enorme che le obbligazioni finirono col rendere di più delle obbligazioni (…)
La causa di questo capovolgimento non poteva essere banale. Il fattore principale che distingueva il presente dal passato era l’inflazione!
Dal 1800 al 1940 il costo della vita era salito in media soltanto dello 0,2% all’anno ed ora addirittura sceso in 69 occasioni. In queste condizioni possedere dei beni valutati in un numero fisso di unità monetarie era molto conveniente; possedere dei beni privi di valore monetario nominale fisso era molto rischioso.” (…)
In sintesi un nuovo cambiamento climatico, di cui troverete conferma nella “La.cattedrale.dei.Bonds” quella PIMCO che per voce del suo managing director Bill Gross prevede che i tassi saliranno in tutto il mondo, sino oltre il 6% negli USA, perché ormai la crescita economica mondiale al 5% dovrà fare a meno dell’onda deflazionistica generata dalla globalizzazione e i costi energetici e delle materie prime in generale non potranno riflettersi nei prezzi finali dei prodotti importati.
Chissà il tempo cambia spesso ed in economia l’incertezza è alla base di ogni processo produttivo, ma le decisioni che i soggetti economici prendono dipendono in gran parte dalle mutate condizioni “atmosferiche”.