OCCUPAZIONE: GOOD NEWS, BAD NEWS!

Scritto il alle 14:57 da icebergfinanza

 

Alle volte il diavolo si nasconde nei particolari, ma forse questa volta non è un diavolo, ma un angelo custode, nascosto nelle pieghe dell’economia americana, un timido angelo custode stagionale, un angelo custode "volatile".

Prendetevi un mese di ferie, sarà un lungo articolo; se invece non avete tempo, lasciate perdere, in fondo oggi, non vi è mai tempo per nulla.

Diamo ora un’occhiata sintetica agli angeli e ai diavoli nascosti nei particolari dell’occupazione americana:

A) Meno lavoratori a part-time, rallentamento sensibile della dinamica ( Angelo )

B) Continua la serie di assunzioni a tempo determinato, lavori temporanei, quelli che in America, sembrano anticipare le dinamiche a tempo indeterminato. (Angelo )

C) La Household Suvery, l’indagine fatta tra 60.000 famiglie americane, evidenzia un aumento di oltre 540.000 lavoratori. (Angelo )

D) Piccolo miglioramento al dettaglio e nel settore manifatturiero ( Angelo fragile )

E) Di revisione in revisione, oltre 600.000 posti sono stati aggiunti dal BLS ( Diavolaccio )

F) Oltre due milioni e mezzo di persone non fanno più parte della forza lavoro ( Diavolo )

G) Alta percentuale di disoccupazione di lunga durata ( Diavolo)

H) Quasi 100.000 disoccupati in più rispetto alle anticipazioni, nel periodo aprile 2008/marzo 2009, 930.000 anzichè 824.000 e revisione doppiamente negativa per il mese di dicembre 2009.  ( Diavolo a posteriori ) 

Dopo oltre tre anni passati insieme, i lettori di Icebergfinanza sanno che se il numero degli occupati aumenta e il tasso diminuisce, questo è dovuto alla differente sorgente di informazioni che il BLS recepisce. 60.000 famiglie americane sono oggi,  la fonte primaria che stabilisce il tasso di disoccupazione. I numeri relativi a persone che hanno perso il loro posto di lavoro, provengono da un sondaggio presso 400.000 aziende, annacquato dal nostro modellino statistico stagionale CES/NET B/D Model.

Questa volta il modello in questione ha sottratto oltre 427.000 mila posti di lavoro, una revisione semestrale di tutto rispetto. Nessuna sorpresa per noi. Ricordate l’anticipazione sulla revisione del 5 febbraio, ricordate gli 824.000 posti di lavoro persi, annunciati dal BLS, per il periodo aprile 2008/marzo 2009?

Ebbene la mia previsione era per un numero definitivo vicino al milione, in realtà sono stati 930.000 quasi centomila in più di un’anticipazione che di per se avrebbe dovuto essere scontata dai mercati ancora ad ottobre. Ma non solo, da dicembre, l’economia americana ha perso quasi 1,4 milioni di posti di lavoro in più. A dicembre inoltre, tanto per cambiare, la revisione era impressionante, quasi il doppio di quanto precedentemente annunciato.

Come abbiamo visto, abbiamo bisogno di almeno 120.000 posti di lavoro nuovi per ammortizzare le pressioni demografiche e migratoria, ne abbiamo persi 22.000 ufficiali anche questa volta, non sarà un diavolaccio nei dettagli, ma l’inferno permane, l’inferno della deflazione, senza lavoro, nessuna speranza per l’inflazione.

Con i più imponenti stimoli monetari e fiscali della storia, si è riusciti solo ad ammortizzare le perdite, ma non si è creato nulla, non si è stimolato nulla, se non la produttività, figlia di ricostituzione delle scorte effettuate con contemporanei tagli di lavoro. I recenti annunci di licenziamenti, sono emblematici, come emblematiche sono le dichiarazioni della  National Federation of Independent Business NFIB la quale sostiene che solo il 29 % delle proprie associate ha intenzione di assumere per l’anno in corso.

Certo, abbiamo ancora oltre seimilioni e trecento mila anime in cerca di lavoro da oltre 27 settimane, l’ennesimo record storico, oltre il quattro percento della forza lavoro. Queste persone al momento hanno poca speranza, poche aziende oggi assumo, piuttosto aumentano le ore di lavoro.

Il tasso di disoccupazione non destagionalizzato in realtà è volato oltre l’asticella del 10 % siglando il nuovo record del 10,6 % ovviamente superiore alla quota ufficiale del 9,7 %. Ma probabilmente la buona notizia, sta proprio negli oltre 540.000 nuovi assunti, mostrati dall’indagine tra le famiglie.

Probabilmente i teorici dell’inflazione dietro l’angolo, come Hoenig o i politici di maniera, si precipiteranno ad acclamare una politica monetaria meno accomodante e un deficit la cui esuberanza è da mitigare a tutti i costi. Qualcuno in America, pensa addirittura ad aumentare le tasse, per ridurre il deficit, dimenticapeccato che la legge empirica per ogni dollaro di tasse se ne hanno tre in meno di spesa privata

Ma una rondine, non fa primavera, in maniera particolare in questo gelido inverno.

In gennaio però, i servizi hanno continuato ad aggiungere posti lavoro temporanei, 52.000, contro gli oltre 58.000 di dicembre e i quasi 95.000 di novembre. Ovviamente, più questi lavori a tempo determinato salgono, più il tasso di disoccupazione tende a scendere anche se in una crisi di queste dimensioni, tutti i lavori temporanei rischiano di saltare da un momento all’altro. Senza il ritrovato sostegno del settore governativo, i 22.000 di gennaio sarebbero stati più di 50.000, di cui almeno 9000 per il censimento nazionale 2010, decisamente temporanei.

Solitamente un aumento dei lavoratori temporanei , testimonia una possibile ripresa dell’occupazione, ma andrei cauto questa volta, la strutturalità di questa "recessione umana" è evidente.

Ciò che accadrà in occasione del censimento nazionale 2010 è l’emblema di una dinamica unatantum, che dovrà fare i conti con la realtà.

La buona notizia di continue assunzioni a tempo determinato, nasconde la cattiva notizia per il resto dei disoccupati, come abbiamo visto, prima si aumentano le ore, poi si assume a tempo determinato, determinatissimo. Meglio che niente, figurarsi, ma ciò non aiuterà l’economia ad uscire dall’incertezza, supportata dalla favola della ricostituzione dei magazzini, non avvierà una ripresa strutturale.

Il buon Fugnoli, nella sua rubrica, sottolinea come …" Nota  El Erian di Pimco che i mercati stanno puntando troppo sugli aspetti ciclici positivi e troppo poco su quelli strutturali negativi. (…) Ci siamo assaporati fino all’ultima goccia il fiele del crollo ciclico e ora abbiamo qualche diritto a reclamare il miele della ripresa. Nessuno aveva eccepito a un crollo della produzione dovuto almeno per metà alla liquidazione delle scorte. Nessuno aveva fatto notare che la domanda finale era, a livello strutturale, meno debole di come appariva. Allo stesso modo oggi non si dovrebbe disprezzare il quasi 6 per cento di crescita annualizzata americana dicendo con sufficienza che per più di metà è dovuto alle scorte, elemento ciclico per eccellenza. Non è elegante fare i ciclici quando le cose vanno male e diventare strutturali quando vanno meglio.

Gli ottimisti di maniera, sono sempre figli del breve termine, guardano alle riprese statistiche, con ammirazione, ma non amano esplorare i cambiamenti strutturali o meglio, continuano a considerarli normalmente ciclici.

Sarà anche che nella fantasia aritmetica delle scorte, il contributo proviene non da un aumento del livello complessivo delle scorte ma da una loro minore diminuzione, proponendo una visione positiva della dinamica, ma non ci vuole molto a comprendere che senza consumi la favola non è sostenibile, soprattutto in un ambiente di "deleveraging" generalizzato. 

" Una lezione che ricaviamo da gennaio – prosegue Fugnoli – è che tutto questo è possibile. I mercati sono passati dal paradigma della ripresa a quello della ricaduta (da rallentamento in Asia, da crisi fiscale e istituzionale in Europa e da voglia di populismo in America) con oscillazioni tutto sommato contenute. La caduta non è stata troppo pesante perché il livello raggiunto dai mercati non aveva superato la soglia della ragionevolezza."

Bella cosa la ragionevolezza, non sempre figlia della consapevolezza, ma forse sarebbe interessante guardare oltre,  al medio e lungo termine, senza continuare ad essere figli di un pensiero limitato al breve termine, appunto. Si scoprirebbe, infine, come abbiamo visto in " La quiete prima della tempesta", che diluendo e aggiustando gli utili attesi nel loro rapporto con i prezzi attuali, ad un ciclo più ampio, la sopravvalutazione era evidente e la soglia delle ragionevolezza superata da un pezzo.

Tornando a noi, è ovvio che assistere ad una sensibile diminuzione dei lavoratori a tempo parziale, part-time, è il risultato di un aumento delle ore lavorate e della continua dinamica dei posti a tempo determinato. Una buona notizia, da confermare, che riduce sensibilmente anche il tasso di sottoccupazione complessiva, facendolo scendere dal 17,3 % al 16,5 %. Table A-12. Alternative measures of labor underutilization

L’ampia revisione al ribasso dei dati relativi ai dodici mesi trascorsi dall’ormai lontano aprile 2008 sino a marzo 2009 era stata ormai metabilizzata dal mercato, in maniera affatto ragionevole. Se poi vogliamo ancora una volta provare a raccontare un’altra leggenda metropolitana, esaltando la magnifica produttività americana, la tanto decantata ed ammirata flessibilità, il risultato è stato epocale, una autentica rasoiata all’occupazione e al sogno americano.

Ci sarebbe quasi da suggerire che maggiore produttività o flessibilità, in tempi difficili, nella madre di tutte le crisi, equivalgono ad una maggiore fragilità sociale e giovanile, annebbiando gli orizzonti di intere generazioni.

 

Almeno un americano su sei, vorrebbe un lavoro a tempo pieno ma le condizioni economiche non lo consentono e oltre il 40 % dei disoccupati, sono nella loro situazione da oltre sei mesi. Non oso pensare cosa significa essere lavoratore scoraggiato in America, non dopo aver visto il film di Michael Moore, sul sistema assicurativo e sanitario americano, non oso pensare cosa significa perdere il posto di lavoro senza avere alcuna alternativa, nel bel mezzo della madre di tutte le crisi.
 
Il nostro CES/NET B/D Model, ha rettificato 427.000 posti di lavoro togliendoli dalle statitische, mentre lo scorso anno, erano "solo" 356.000, se siamo ad una svolta, il nostro modellino, corre il rischio di amplificare la negatività, e cancellare una effettiva ripresa dell’occupazione.
 
Se questo è un messaggio di speranza, si corre il rischio che non appena un numero imprecisato di disoccupati scoraggiati, si rmettono alla ricerca, indipendentemente dal rischio di una nuova recessione tecnica ( quella reale sta proseguendo…) il tasso di disoccupazione tornerà a salire, come è accaduto lo scorso anno, quando il sistema fu illuso da un timido arretramento del tasso di disoccupazione.
 
Sono in molti in questa crisi, che non hanno il coraggio di chiamare le dinamiche con il loro nome, Icebergfinanza, invece no da sempre sostiene che questa è una vera e propria "Depressione Immobiliare", come fu depressione quella seguita alla Grande Bolla Giapponese alimentata dalle Jusen, istituti finanziari non bancari, come Coutrywide ad esempio.
 
In Will construction worker survive viene evidenziato come anche se la disoccupazione a livello nazionale è scesa al 9,7 %, nel settore edile è esplosa al 24,7 %.
Ascoltate la voce del popolo…" Nei quattordici precedenti anni, non mi era mai capitato di stare senza lavoro, per più di una settimana " spiega Pat O’Connor, 57 anni, falegname del Connecticut.  " Sono senza lavoro dal mese di luglio, è un brutto sogno che si trasforma in un incubo. E’ il settore edile morto. E’ orribile ora. Nessuno di aspettava questo, si tratta di una depressione."
 
Provate a scrivere su Google, " depressione immobiliare" e vedrete chi compare in ogni link.
 
Ma lasciamo ora il mercato del lavoro, per dirigere la nostra attenzione, sulla ritrovata consapevolezza del rischio, una ritrovata percezione, che illuminati analisti e gestori, economisti e giornalisti, avevano dimenticato, dipingendo orizzonti indimenticabili e  talvolta altipiani di prosperità permanente.
 
In fondo oggi, in molti hanno la memoria corta, e stregoni e sciamani finanziari, prolificano, tra l’ingenuità e la credulità popolare.
 
Mentre Icebergfinanza condivideva il suo scetticismo di fronte alla rinascita delle materie prime, all’esuberanza dei mercati dei bond corporate, all’illusione di una ripresa sostenibile, record su record di emissioni corporate, talvolta pura spazzatura, a tal punto da far impallidire il ricordo non tanto lontano, di una stagione di demenziale esuberate follia.
 
Non vi era un solo indicatore che non fosse stressato da cosi grande "razionalità" , per le piazze e le strade dei mercati, solenni "cantori" osannavano l’inevitabilità del ricorso alle emissioni corporate o all’azionario.
 
In coro, inoltre in molti urlavano, il pericolo di lungo termine, addirittura il buon Nassim Taleb, suggeriva di shortare violentemente il debito sovrano di lungo termine, in attesa dell’ondata selvaggia di inflazione che avrebbe sepolto l’economia mondiale.
 
Prima o poi arriverà, statene certi, ma se qualcuno si fosse preso la briga di analizzare la situazione reale attuale, se si fosse preso la briga di dare un’occhiata alla storia, ad alcune dinamiche empiriche in essere,  avrebbe smesso di urlare al lupo, perchè per la visita del lupo c’è ancora tempo.

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1 commento Commenta
utente anonimo
Scritto il 8 Febbraio 2010 at 13:41

purtroppo i tuoi articoli sono troppo lunghi, diventa difficile per chi ha poco tempo seguirti.Modesto consiglio: molto più brevi e succinti.
Grazie.
Piero

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