DON'T CRY FOR ME DUBAI……

Scritto il alle 20:29 da icebergfinanza

La storia di quanto è successo ormai la sappiamo, non vi è un solo angolo dell’oceano mediatico che non ne abbia parlato, ma in realtà qualcosa non quadra. Tempo fa con un amico che mi parlava di questo nuovo Eldorado, sottolineai come in fondo tutto il mondo è paese e che comunque l’imponente deflazione immobiliare che stava per arrivare non avrebbe risparmiato neppure, il sogno di Dubai.

C’è qualcosa di strano in questo fulmine a ciel sereno, qualcosa che probabilmente va oltre la nostra capacità di comprensione. Come è possibile che all’improvviso, pur con un chiaro preavviso all’inizio di novembre con qualche piccola e tenera sforbicciata di rating in particolare da parte di Moody’s, gli Emirati Arabi abbiano dichiarato nella sostanza un default tecnico, senza che ben pochi ne fossero in realtà a conoscenza.

Francamente risulta difficile credere che un default, anche se parziale, su circa 60 miliardi venga condiviso cosi all’improvviso, senza alcuna consultazione di governi o banche centrali in un momento decisivo per le sorti dell’economia mondiale e con i mercati sulla soglia di una resistenza fondamentale.

Comunque sia, qualcosa non quadra e le prossime settimane osserveremo questa nuova puntata di una imponente e inarrestabile "DEBT DEFLATION" un processo che nei prossimi mesi vedrà interessati altri grandi nomi della finanza e dell’economia reale-

Ma facciamo un salto indietro nella storia e trasferiamoci al 1931, un paio di anni dopo il crollo di Wall Street e precisamente nell’ Europa delle Monarchie, andando a visitare un pezzo di Luigi De Rosa, nel suo " La crisi economica del 1929" Le Monnier, Firenze 1979 che potete trovare integralmente QUI

(…) Oltre a impoverire vaste regioni dell’Europa orientale e dell’Europa centrale e a provocare elementi di disgregazione negli equilibri economici e nei rapporti commerciali internazionali, la guerra aveva anche frantumato l’equilibrio monetario raggiunto negli anni che precedettero la prima guerra mondiale. Le monete della maggior parte degli Stati occidentali erano state assai vicine alla loro parità legale, e i valori interni delle singole monete erano stati solidamente legati all’oro (unità di misura internazionale). Durante la guerra gli Stati avevano ecceduto nelle emissioni di carta moneta ad eccezione degli Stati Uniti che riuscirono a mantenere inalterata la convertibilità in oro (Gold Standard) del dollaro. La misura del danno sofferto dalle altre monete emergeva dal loro cambio con il dollaro. Fino alla guerra la Gran Bretagna era stata il «banchiere del mondo» e la sua moneta – la sterlina – era stata il pilastro del sistema monetario internazionale (tutti i prodotti erano prezzati in sterline); era anche il principale centro assicurativo del mondo (i Lloyds di Londra); e, per l’imponente flotta mercantile di cui disponeva, era centro del mercato dei noli.

(…) La fine della guerra trovò così l’Inghilterra indebolita sia sul piano produttivo che su quello finanziario e monetario; mentre gli Stati Uniti apparivano cresciuti economicamente e finanziariamente, e divenuti, da paese debitore, paese creditore dell’Europa. Si accendono cioè le luci sul mercato finanziario di New York. Il mercato di Londra, dal canto suo, andò lentamente perdendo forza, soprattutto nelle possibilità di credito, e finì addirittura per indebolire le sue riserve auree.

La crisi commerciale non poteva quindi non ripercuotersi in crisi finanziaria prima e monetaria poi. Il fallimento delle maggiori banche europee (la Credit Anstalt di Vienna, la Dresdner Bank e la Darmstadter und National Bank) non poteva non ripercuotersi sul mercato di Londra che si vide richiamare tutti quei prestiti a breve di cui era campione senza però essere in grado di liquidarli in quanto quegli stessi capitali erano stati investiti a medio e lungo termine. La richiesta di una moratoria nel settembre del 1931 da parte della Banca d’Inghilterra e del Governo laburista comportò, da un lato, la sospensione dei pagamenti (con conseguente ulteriore crollo dei creditori) e dall’altro una considerevole svalutazione della sterlina (30,68% rispetto al dollaro e abbandono del Gold Standard) e la fine di un’epoca.

Oggi gli Emirati Arabi, in un’altra dimensione, chiedono una moratoria del debito e la sospensione dei pagamenti per circa sei mesi.

La Credit Anstalt, colosso di credito dell’impero Austro Ungarico, dopo mille traversie, nazionalizzazioni e fusioni altri non è che la Bank Austria Creditanstalt rilevata dalla HypoVereinsbank a sua volta incorporata da Unicredit, pesantemente esposta nei confronti dei paesi dell’ Est Europa assieme all’intero settore finanziario austriaco, come abbiamo più volte visto.

La Credit Anstalt ebbe un ruolo determinante nella destabilizzazione dell’intero sistema finanziario europeo dell’epoca, un panico diffusosi in tutto il mondo. La successiva crisi valutaria, non è stata dettata da panico irrazionale e dall’istinto di sopravvivenza, ma piuttosto una risposta razionale alle incoerenze politiche e all’insicurezza delle autorità di quel tempo, letteralmente impreparate che hanno amplificato l’effetto contagio.

Non vi è alcun dubbio sul fatto che questo potenziale default, avrà l’effetto di un autentico tsunami sulle quotazioni di molti istituti e sul valore di molti investimenti effettuati sino ad oggi dagli Emirati Arabi, un po come quanto accade nel gennaio del 2008, quando la notizia della creatività di un trader di Societe Generale, fece crollare i mercati finanziari a seguito di un’ondata di disinvestimenti atti a recuperare alcune speculazioni spericolate.

La K.K. PRIVILERIERTE OSTERREICHISCHE CREDIT-ANSTALT FUR HANDEL UND GEWERBE fu la prima banca di Credito immobiliare della monarchia asburgica. Fu fondata nel 1855 con la partecipazione della banca d’affari viennese S.M. VON ROTSCHILD, insieme ad altri banchieri privati, in anticipo rispetto alle altre maggiori banche austriache (fondate principalmente nel decennio successivo). (…) UNIBO

Come si legge sul Sole 24 Ore, niente petrolio, niente risparmi, un debito stimato a 80-90 miliardi di dollari pari al 100% del Pil e una grossa bolla immobiliare, ce n’era a sufficienza per comprendere a quale nemesi andava incontro la stella di Dubai, ma come per i tulipani e oggi gli spicchi d’aglio in Cina, in fondo la follia nelle folle è la regola, mentre nel singolo è un’eccezione.

Certo la storia non si ripete quasi ma, ma quando vuole, sa scrivere delle rime da favola.

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58 commenti Commenta
utente anonimo
Scritto il 27 Novembre 2009 at 22:20

Dubai (AsiaNews) – Fonti di AsiaNews assicurano che in meno di due settimane l’emiro di Abu Dhabi acquisterà tutto l’emirato di Dubai per 80 miliardi di dollari Usa. La notizia però non è ancora ufficiale. Ieri la Dubai World, il braccio finanziario dell’emiro Sheikh Mohammed Bin Rashid Al-Maktoum, che ha un debito di 59 miliardi di dollari, ha chiesto un ritardo di sei mesi per pagare i creditori. La notizia ha creato il panico fra banche e compagnie immobiliari nel mondo. E molti creditori non vogliono aspettare.
Fra i maggiori creditori della Dubai World vi è proprio l’Abu Dhabi Commercial Bank e l’Emirate NBD.
Negli anni scorsi Dubai ha raccolto prestiti per 80 miliardi di dollari per foraggiare il boom dell’edilizia che ha trasformato una spiaggia desertica in un centro finanziario internazionale e in una meta turistica regionale. Ma a causa della recessione, i valori delle proprietà sono crollate e le case hanno perduto il 50 e talvolta anche il 70% del loro valore nel 2008.
**********************
BAI BAI DUBAI

Ma perchè nn facciamo una colletta e ci compriamo la california ???
Fra un pò nn dovrebbe costare molto…
Altapatagonia

utente anonimo
Scritto il 27 Novembre 2009 at 23:04

il Dubai possiede la maggioranza della società della borsa di Londra. Guarda caso giovedì la borsa di New York era chiusa per il thanksgiving, quindi la borsa di Londra si è trovata ad essere per un giorno la più importante borsa mondiale. Guarda caso sempre giovedì la Borsa di Londra non ha potuto dar luogo a nessuna contrattazione per ben 3 ore e mezza per "problemi tecnici".  Sempre guarda caso nello stesso giorno il Dubai ha annunciato un defaul tecnico. La combinazione tra il default del Dubai e il blocco delle contrattazioni nell’unica borsa importante aperta ha provocato il panico che sappiamo. Penso male a supponere che lo sceicco del Dubai e i suoi amici erano short su qualche miliardo in derivati ed opzioni sin da mercoledì?

Arsan

p.s. il pacchetto di controllo della Borsa di Londra verra presto ceduto dal Dubai per fare cassa..

Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:16

@Arsan: a pensar male si fa peccato ma spesso si indovina…

Il sospetto era venuto anche a me visto che agli sceicchi la liquidità dubito che manchi…

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:25

video contro catrastofisti e al goore

http://eclipptv.com/viewVideo.php?video_id=8514

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:25

video contro catrastofisti e al goore

http://eclipptv.com/viewVideo.php?video_id=8514

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:25

video contro catrastofisti e al goore

http://eclipptv.com/viewVideo.php?video_id=8514

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:26

 Arsan..Arsan…ma lo sai che pure oggi il NYSE lavorava a tempi ridotti chiudendo all 1.30 locale !!! Dubiti forse della trasparenza ???
Saluti
Massimo

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:27

 Agatha Cristie diceva che un evento e’ un caso, due una coincidenza, tre una prova !
Saluti
Massimo

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 00:59

GRAZIE cap. Andrea.

è molto interessante l’approfondimento storico di Luigi De Rosa, La crisi economica del 1929, Le Monnier, Firenze 1979.

credo di doverlo rileggere ogni settimana nei  prossimi mesi.

penso che stiamo rivivendo le stesse situazioni già verificatesi tra 1925 e 1935… una decade caratterizzata da spinti inflazionistiche alternate a momenti deflazionistici…sempre voluti dalla Classe Dominante.

riccardo isalberti

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 01:04

Andrea, bellissima la chicca sul De Rosa, complimenti.
Quanto a Dubai continuo a credere che sia uno dei classici casi in cui vogliono farci guardare al dito per distogliere l’attenzione dalla luna.
Ma si dai, colpa di un  Emiro in preda a deliri di onnipotenza. Fosse lo stesso virus che ha beccato Blankfein di Goldman?
Governatori e Governanti non potranno mai ammettere che la lotta alla deflazione segna il passo nonstante i tantissimi denari, pubblici, immessi nel sistema.
Però a pensarci bene le recenti dichiarazioni circa l’eventualità non tanto remota di mantenimento dei tassi a zero fino al 2012 altro non sono che un’ammissione di impotenza di fronte alle forze deflazionistiche.
Ma a parte qualche svista lor Signori non potranno mai ammettere che quel denaro si è fermato al primo passaggio e che è andato a finanziarie attività speculative altamente lucrative su, ad esempio, materie pime da parte di Istituti di Credito. A proposito sarà il caso di rivedere questa definizione.
Non potranno mai ammettere in modo palese che quei soldi sono andati a finire in obbligazioni scoietare dove gli Istitui di …. aiutatemi…spuntano prezzi e rendimenti sensibilmente più remunerativi rispetto alle classiche forme di finanziamento alle aziende. E poi le obbligazioni le possono contabilizzare nella maniera che gli fa più comodo. Nella peggiore delle ipotesi possono anche rifilarle alla clientela. Non è successo così per i bond Cirio, Parmalat e Argentina solo per citare casi infaustamente noti al Popolo Italianoooo?!?!!!!
La loro è una macchina mediatica imponente come lo è la crisi che devono fronteggiare.
Però un briciolo di consapevolezza inizia a diffondersi.
Spero che il briciolo diventi un mare, una vetta di consapevolezza.
Solo così potremo capire cosa meritano personaggi come Trichet, presidente della Banca Centrale Europea.
Non è inutile ricordare che l’equivalente di Trichet negli Stati Uniti è Ministro del Tesoro dell’amministrazione Obama.
In Italia Ciampi ha fatto tutto: Governatore della Bnaca d’Italia, Ministro del Tesoro, Premier e Presidente della Repubblica. Eredità: "le privatizzazione ai tempi della finanza", con quel "gioiello" di leveraged buy out su Autostrade in cui Benetton e banche hanno stuprato finanziariamente un patrimonio del….. Popolo Italianoooo!!!
Per tornareai giorni nostri il signor Trichet in piena bolla commodities (estate 2008) alimentata dalla leva e cavalcata con ingordigia dalle banche dichiarava che a essere tenuti sotto controllo dovevano essere i salari….si i salari!!!! e non il rischio assunto dagli Istituti di….vi prego aiutatemi a trovare la definizione più appropriata….
Insomma il cetriolo deve cadere sempre nel pertugio dello stesso e meno opportuno soggeto (ricorro umilmente alla saggezza popolare espressa nei proverbi)…
Oggi, con la crisi, le aziende tagliano posti di lavoro, i costi sociali aumentano e le banche sono tornate come e più di prima a speculare sui mercati con ricadute su beni di prima necessità.
Di questo passo prevedo di qui a non molto tempo l’apertura di una nuova caccia: all’uomo, banchiere o di finanza.
buona notte, Raffaele

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 06:47

raffaele speriamo…..io sono già pronto……ho tutto macete e quant’altro serve….e il livello di incazzatura è al punto giusto

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 09:29

no dai il machete no. però la galera si.
raffaele

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 10:02

Ma guarda un pò, fresca fresca.

Washington, 08:56
USA: BERNANKE, ‘AUDIT’ FED DANNOSA PER ECONOMIA
Il presidente della Federal Reserve, Ben Bernanke ritiene dannosa per le prospettive economiche e finanziarie Usa la proposta del Congresso di introdurre un ‘audit’, una valutazione sistematica, dell’attivita’ della Fed. Queste misure – scrive Bernanke sul Washington Post – avrebbero un grave impatto sulle prospettive di stabilita’ economica e finanziaria degli Stati
Uniti”.

raffaele

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 10:52

che gran bastardi che sono !!! si parano il fondoschiena in tutte le maniere alla faccia dei disoccupati

CRACK DUBAI: WALL STREET PRONTA A SOSPENDERE LE CONTRATTAZIONI
di WSI
Il NYSE vara in gran segreto un raro provvedimento invocato quando eventi esterni possono compromettere gli scambi azionari, tramite il blocco e la sospensione delle contrattazioni. E lunedi’ all’apertura di New York…

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 11:36

Per #4

Il grafico che utilizza Al Goore non è una rappresentazione di dati reali ma è disegnato a mano, per cui un falso. Non occorre Cartesio per capirlo.

Wake up!

unT

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 13:22

no dai. la galera neanche…basta una sculacciata…a patto che non lo facciano più !!!!

Scritto il 28 Novembre 2009 at 13:36

eeehh i banchieri si sà, se le inventano di notte pur di prenderci x il culo. sculacciate? il bastone ci vuole con questa gente. vedrai quando la gente(speriamo presto) si sveglierà dall’incubo, dalla matrix in cui l’hanno messa. sarà caccia all’uomo. ma poi l’uomo, cosa gli passa x la mente? sà esattamente quello che vuole? come vive? per chi vive? sà vivere bene e con gioia il suo tempo? ho paura di no. scrisse tempo fà il DALAI LAMA.

” Gli esseri umani perdono la salute per fare soldi e poi perdono i soldi per tentare di recuperare la salute, pensano tanto ansiosamente al fuuturo dimenticando di vivere il presente;
così facendo non riescono a vivere ne il presente ne il futuro; vivono come se non dovessero mai morire e muoiono come se non avessero mai vissuto”

C’è tanta verità in queste parole!

voi che ne dite? ciao ciurma. DORF

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 17:30

Niente materie prime da esportare, niente risparmi, bolla immobiliare, debito pubblico elevato….mi ricorda un’altro paese…
david

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 17:48

Mi stai diventando poeta DORF!
La crisi sta seguendo il suo corso, il prossimo colpo probabilmente arriverà dalla Cina, avete dato uno sguardo a Shanghai, roba da far sembrare Dubai un topolino rispetto ad un elefante.
Non fatevi ingannare dalle grandezza demografica della Cina, dovete pensare che per comprare un immobile servono inanzitutto i soldi, basta una piccola diminuzione  dell’offerta per far crollare i prezzi e mandare a gambe all’aria imprese e banche.
Difficile dire cosa e chi andrà a gambe all’aria, la Russia con il Venezuela di sicuro reggeranno finchè il petrolio rimarrà sopra i 50 dollari a barile.
E’ molto probabile che il prezzo scenda intorno ai 30  dollari nel giro dei prossimi dodici mesi.
Dovete pensare che in Iraq si punta ad una produzione giornaliera di 8 milioni di barili! E a quanto sembra anche il Brasile insieme ai paesi del mar Caspio vogliono incrementare notevolmente la produzione!
In quanto all’Argentina questa è già fallita, ma dato che importa a pochi, subirà l’ennesima e turbolenta crisi!

Il Brasile sembra una "Rara Avis" ma attenzione anche qui c’è il trucco, se la crisi durerà abbastanza anche il Brasile pagherà la sua parte di conto.
Anzi secondo me Lula la racconta proprio male, perchè è ovvio che qualcosa non torna nei conti del paese carioca.

Quello che è una certezza è l’Inglilterra che è messa proprio male, la Banca Centrale Inglese ha rinunciato a qualunque tentativo di difesa della sterlina, del resto l’aver pompato quasi 900 miliardi di Euro nelle sue banche è stata un’operazione non da poco, i cattivoni sussurrano che ce ne potrebbero servire altrettanti per tenere in piedi la barracca.
Ma tranquilli la crisi passerà!!

-IL Compasso-

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 18:23

 xkè ne parli solo dopo che ne hanno parlato tutti : mi sembra n po’ troppo facile

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 18:44

La speculazione è come la ruggine, non dorme mai.
 Per non rimanere intrappolati nell’apparenza bisogna guardare da una posizione molto distaccata, come Andrea.
L’emotività infatti porta a continui cambi di "umore" con risultati disastrosi.

utente anonimo
Scritto il 28 Novembre 2009 at 20:43

@ il #9 che scrive:
"Per tornareai giorni nostri il signor Trichet in piena bolla commodities (estate 2008) alimentata dalla leva e cavalcata con ingordigia dalle banche dichiarava che a essere tenuti sotto controllo dovevano essere i salari….si i salari!!!! e non il rischio assunto dagli Istituti di….vi prego aiutatemi a trovare la definizione più appropriata.."

Eccola: non istituti ma ASSOCIAZIONI A DELINQUERE con garanzia dell’impunità.

luigiza

Scritto il 29 Novembre 2009 at 01:06

ciao compasso. si non resta che la poesia. cmq tanto x non essere troppo morbidi vi posto un articolino di BENETAZZO. un pò di sano realismo. non le cazzate che scrivono i giornali (tutti), e le balle delle tv. ecco qui.
TAGLI E DETTAGLI
Postato il Venerdì, 27 novembre @ 19:00:00 CST di davide

DI EUGENIO BENETAZZO
eugeniobenetazzo.com/

Quando nel 1994 Amy Whitfield scalava le classifiche musicali internazionali con il suo “Saturday Night” ed imperava la cultura del disco entertainment degli anni 90, allo stesso tempo il nostro paese raggiungeva il suo picco di massimo splendore per quanto concerneva il benessere economico alimentato da uno sviluppo e successo industriale che proprio in quell’epoca ostentava il suo massimo slancio evolutivo. Ricordo molte bene quel periodo, frequentavo da qualche anno l’università ed al tempo stesso mi dilettavo come dee jay negli house club: rammento ancora come tutti noi giovani “discotecari” sognavamo un giorno di poter possedere o gestire un locale da ballo (e sballo) tutto nostro, vedendo gli incassi e le migliaia di persone che vi gravitavano ad ogni serata. Sono passati appena quindici anni e quel periodo ormai è un ricordo di un passato che non rivedremo mai più.

Dalla metà degli anni 90 per l’Italia è iniziato infatti un lento processo di declino industriale: sono stati fatti entrare a frotte milioni di extracomunitari con il solo scopo di consentire ai grandi gruppi industriali di poter abbassare i costi di manifattura (grazie a persone disperate disposte a lavorare con retribuzioni minori rispetto agli italiani), di lì a poco è stato introdotto il lavoro interinale come soluzione per “snellire” l’attività di impresa che in poco tempo ha fatto nascere una nuova fascia sociale, quella dei precari, infine si è dato inizio ad una lenta opera di deindustrializzazione aiutando gli industriali a smantellare le loro aziende per spostarle al di fuori dei confini italiani e decretando così la fine di centinaia di migliaia di posti di lavoro. Quando sta accadendo in questi ultimi 18 mesi non può essere definito genericamente come semplice crisi, come ci vogliono far credere i media tradizionali con il loro gracchiante vociferare, quanto piuttosto come una vera e propria emergenza che sino ad oggi ha manifestato solo il primo dei sue tre aspetti, ovvero quello finanziario.

Adesso dovranno arrivare le altre due sfacettature, quella industriale e quella sociale, entrambe legate da questo scellerato ed osannato modello economico imposto dal WTO in cui tutti i paesi occidentali hanno dovuto lentamente e progressivamente regalare le loro produzioni ed i loro ordinativi industriali alle nuove aree emergenti di questo millennio, così facendo si sono create le condizioni sociali ed industriali per una impensabile sperequazione. L’Inghilterra regna sovrana su questo, il modello thatcheriano (privatizzazioni e dismissioni forzate dei gangli strategici della nazione) sta dimostrando come l’eccesso di liberismo economico produca l’esatto opposto di quello che aveva promesso. Gli USA che sono stati il primo paese a delocalizzare (con Messico ed India) hanno pagato il conto con la loro stessa solidità finanziaria. Per chi non lo avesse ancora compreso i mutui subprime sono detonati perchè lentamente sono stati bruciati milioni di posti di lavoro e persone che avevano contratto precedentemente debiti per vivere non sono più stati in grado di ripargarli (la FED poi ci ha marciato accellerando il processo di polverizzazione finanziaria).

Ormai dovremmo parlare di una mutazione genetica per il nostro tessuto socioeconomico: il turbocapitalismo ci sta presentando i conti. E siamo appena agli inizi. Chi continua a profetizzare la fine di questa cosidetta “crisi” temo che non abbia veramente ancora compreso che cosa stia accadendo. L’Italia è un paese manifatturiero (per quello che rimane) ed esportatore, questo significa che per esserci veramente ripresa questa deve realizzarsi al di fuori dei nostri confini, consentendo alla nostra economia di seguire a traino. Tra meno di quindici anni saremo catapultati al quindicesimo posto su scala planetaria, non saremo più un paese industrialmenete rilevante, ma uno stato depresso in lento e silenzioso declino. Direi proprio silenzioso perchè di giovani a gridare ce ne saranno sempre meno: sempre tra quindici anni oltre il 40 per cento della popolazione avrà un’eta superiore ai sessant’anni. Da Bel Paese un tempo, presto saremmo denominati come il cimitero degli elefanti. La contrazione della capacità produttiva industriale che si è verificata in questi ultimi mesi ci ha proiettati ai livelli di produttività di oltre quindici anni fa (non penso che si riuscirà mai più a recuperare questi livelli).

Il futuro è piuttosto delineato, chi è vecchio vivrà con quei quattro soldi messi da parte e chi è giovane si troverà a doversi inventare la vita di tutti i giorni, lavorando a missione e a singhiozzo: già tra cinque anni almeno 1/5 se non 1/4 delle aziende italiane si estinguerà o si ritirerà dal mercato, lasciando un profondo vuoto a livello occupazionale. Non dimentichiamo inoltre come le pesanti situazioni di default finanziario che stanno vivendo le imprese italiane presto si riverserà proprio sui bilanci delle stesse banche che adesso (grazie alle strepitose opere di privatizzazione riguradanti appunto lo stesso sistema bancario italiano) continuano a dettare legge su chi vive e chi dovrà estinguersi. Chi pensa di replicare il modello inglese per assorbire gli esuberi occupazionali, puntando quindi tutto sul terziario (settore dei servizi) probabilmente si è laureato per corrispondenza in Economia Davanti e Commercio Dietro presso l’Università per Barbieri. A livello nazionale non vi è una forza politica che si faccia portavoce di esigenze di protezionismo nei confronti dei nostri gloriosi ed invidiati distretti industriali, l’unica risorsa che avevamo ovvero la distintività ed originalità della manifattura italiana è stata brutalmente sacrificata per permettere a paesi come la Cina di assorbire, copiare e far morire le nostre tipiche produzoni, diventando nel frattempo la grande fabbrica del pianeta. A mio modo di vedere l’unica salvezza potrebbe essere un incredibile e improvviso cambio di governance politica che faccia emergere un “tribuno del popolo” stile Lula in Brasile, che contrasti e metta fine a questo dictat economico che sta portando il paese al suicidio industriale, sociale ed economico.

Eugenio Benetazzo
Fonte: http://www.eugeniobenetazzo.com
Link: http://www.eugeniobenetazzo.com/
tagli_e_dettagli.htm
27.11.2009

DORF

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 02:21

Grande Dorf e Compasso, son d’accordo con voi…e anche col Dalai Lama !!
"Gli esseri umani perdono la salute per fare soldi e poi perdono i soldi per tentare di recuperare la salute, pensano tanto ansiosamente al fuuturo dimenticando di vivere il presente; così facendo non riescono a vivere ne il presente ne il futuro; vivono come se non dovessero mai morire e muoiono come se non avessero mai vissuto"
Il Brasile sè salvato perchè aveva delle riserve in dollari enormi che nn sarebbero bastate se la crisi fosse durata 3 mesi di più!! L’Argentina è alla frutta …ogni giorno c’è una manifestazione e bloccano le strade etc. gli altri cittadini sbuffano. Insomma i politici fanno si che ogni classe sociale se ne freghi  dell’altra.quindi nn si uniranno mai .
Mi è piaciuta una frase detta dagli scioperandi del metrò " se toccano uno ,toccano tutti ! " Ma è  durato poco, l’atmosfera è ,come in Brasile ,di TOTALE  scoraggiamento, nessuno può fare nulla, ognuno si salvi, rubi chi può. I canali TV sono come i nostri ,informazione zero, grande F. e calcio …tanto!
Ultimamente mi faccio una domanda che giro a voi tutti:
" è veramente possibile fare economia o vivere senza sfruttare il prossimo o una classe sociale diversa? " Qui mi capita spesso di aver a che fare con operai ed elettricisti che nn sanno fare un buon lavoro ,ma pensano solo ai soldi e se possibile a fregarti! tutti? no tutti no ,  il 90 % !!
E se una impresa nn usasse ste persone,nn sarebbe competitiva, e quindi chiuderebbe presto. Ormai (o da sempre)  è parte della società e forse della natura umana. Come dice il capitano, è una crisi in tutti i campi, antropologica, ma nn sembra le persone ne siano coscienti. Io vedo come in Italia e nel mondo una "INVOLUZIONE della specie" .
Non so più ke fare ! bisognerebbe cancellare il MAtrix e rincominciare da capo !
ok ok scusate la mia triste esternazione….ma come marinaio di questo veliero  so di nn parlare al vento,e in questo momento ho solo voi  ! 😉

Buonanotte …vado a prendermi lapillola rossa di Matrix

Bassapatagonia

Vale 64 ma sei influenzata?

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 02:24

Sig.Eugenio Benettazzo si e’ svegliato adesso, i commercianti fanno copiare  e acquistano prodotti nei paesi emergenti   da molto tempo  e sistematicamente stanno finendo di distruggere la vera economia  di piccoli e mono imprenditori  artigianali che per decenni  hanno ammortizzato  e dato linfa vitale  al sistema economico italiano. Certo la globalizzazione  dicono che e’ un bene comune  ma come in ogni trasformazione qualcuno deve sparire , quelli che invece dovrebbero sopravvivere.Belle robe  anche lei sig.Dorf ,si fa’ bello a parlare quando la frittata e’ fatta mi dispiace per le nuove generazioni che saranno servitori di idee e scelte che altri faranno per conto loro.In attesa di qualche evento non vi resta altro che parlare fumando una bella canna.Benito.

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 02:40

 In Spagna migliaia di persone della  classe media sono ora disoccupati con ipoteca da pagare e diventano ora  classe povera. Il governo dà il sussidio di 40 euro alla settimana.

Però Zapatero settimana scorsa elogiava  la solidità della  Spagna di fronte alla crisi , rispetto ad altri paesi…Boh!!! mi ricorda il nostro Papi !

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 05:49

Bellissimo e autorevole consiglio ad investire da parte di Rogier Westhuis…. ke faccia da c.lo… scusate ma come si fa ??? sembra uno di quelli ke da i gettoni alle giostre !!Venghino siori e siori ….venghino!!

http://www.affaritaliani.it/economia/westhuis_ing_portafoglio271109.html

altapata

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 05:49

Bellissimo e autorevole consiglio ad investire da parte di Rogier Westhuis…. ke faccia da c.lo… scusate ma come si fa ??? sembra uno di quelli ke da i gettoni alle giostre !!Venghino siori e siori ….venghino!!

http://www.affaritaliani.it/economia/westhuis_ing_portafoglio271109.html

altapata

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 05:49

Bellissimo e autorevole consiglio ad investire da parte di Rogier Westhuis…. ke faccia da c.lo… scusate ma come si fa ??? sembra uno di quelli ke da i gettoni alle giostre !!Venghino siori e siori ….venghino!!

http://www.affaritaliani.it/economia/westhuis_ing_portafoglio271109.html

altapata

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 06:41

ma che fine ha fatto quella gnocca della vale64? è un bel pò che non sis sente

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 08:50

bella questa notiziola…:

La Cina sta nascostamente introducendo un nuovo sistema finanziario basato sul renminbi (Yuan) che sta per diventare pienamente convertibile in oro, secondo una fonte cinese di alto livello. Inoltre la Cina sta acquistando mille tonnellate di oro per sostenere un nuovo fondo progettato per sviluppare e commerciare tecnologie sin qui proibite. Il fondo avrà base fuori dalla Cina e sarà controllato da eminenti membri della comunità cinese di oltremare. L’acquisto di oro richiederà del tempo a causa della logistica del trasporto, e i cinesi sperano di poterlo testare appieno. Sia il governo cinese che l’MI6 confermano ormai i rapporti che indicano che gran parte dell’oro venduto dal Federal Reserve Board negli ultimi dieci anni è, di fatto, tungsteno placcato in oro. D’altra parte il renminbi è ormai convertibile con le valute sudamericane, col rublo, con le valute mediorientali, lo Yen, le valute del sudest asiatico e le valute africane. “Introdurremo lentamente il nostro nuovo sistema finanziario in parallelo col vecchio e speriamo che la gente migri costantemente verso di esso”, ha affermato il funzionario cinese.

buona domenica

Daniele

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 09:19

Vorrei segnalare a tutti i lettori di questo blog, che a parte qualche divergenza di opinione sono tutte consapevoli di quanto realmente successo, l’interessante articolo che potete trovare su http://www.wolfstep.cc/2296/fondamenti-di-politica-astratta/.

Tratta secondo me di ciò che si sta preparando per tutti noi.
E’ stato scritto da persona di solito molto equilibrata e poco incline al pessimismo.
Forse è tempo di archiviare il problema economia (c’è ben poco da fare ormai) e cominciare a prepararsi su ciò che sta bollendo in pentola (in realtà nella testa delle persone) e che dalla devastazione della prima è stato generato.
Personalmente resto fermamente convinto che il peggio non è ancora cominciato e l’articolo di cui sopra ne tratta ampiamente.
Al momento governa Silvio Shianuk ma forse qualcosa o qualcun altro si sta per affacciare alla ribalta.
A pensarlo perlomeno siamo in due io ed il sig. Uriel

luigiza

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 10:25

Errata corrige: a pensarla in quel modo siamo almeno in tre: io, il sig. Uriel, il sig. Freda ( http://www.comedonchisciotte.org/site/modules.php?name=News&file=article&sid=6520 ).

Rimpiangerò il Berlusca che almeno una visione strategica per il paese ce l’aveva. 
Silvio in politica mai scoprirsi il popò !

luigiza

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 11:33

DUBAI CON SORPRESA!

La barca fa acqua da tutte le parti, ma quello che fa più paura non sono i casi evidenti ma quello che non si vede.
Discutendo con uno, che conosce bene il settore in cui lavora, questo mi diceva : "…cosa succederebbe se paesi tipo: Baltici, Romania, Ungheria, Ucraina, dichiarassero default".
Io ho riflettuto un attimo e ho visto paesi creditori come  Germania, Austria, Olanda, Svezia  e anche Italia, che devono tirar fuori un mezzo trilione di euro per tappare la falla.
La Germania potrebbe pagare un conto salatissimo per tenere a galla le sue banche.

Quello che meravigliò molti fu l’intervento dello scorso anno effettuato dal FMI su Ucraina e Ungheria attraverso un prestito in extremis che evito il default di questi due paesi.
La cosa che stupì non fu tanto l’intervento sull’Ucraina ma quello sull’Ungheria, molti si chiesero perchè non era intervenuta la UE, con la BCE (anzi sarebbe meglio dire perchè queste ultime, dato che gli fu chiesto,  si rifiutarono di aiutare l’Ungheria!).
Eppure si trattava solo di tirar fuori un prestito di meno di dieci miliardi di Euro per salvare un paese Europeo!

La risposta è molto semplice la Germania interverrà per salvare le sue banche, ma non ha intenzione di dissanguarsi per gli altri stati, la cosa può suonare contraddittoria in quanto le due  cose sono strettamente collegate!
Bisognerebbe conoscere la mentalità dei Tedeschi per capire che questi si comporteranno in modo che noi possiamo anche definire cinico e individualistico, ma che fa parte della loro mentalità secondo la quale "se tu sbagli devi pagare ! ", i tedeschi se ne infischiano altamente degli altri!
Oggi la Germania si sente abbastanza forte da accettare che uno o più paesi europei chiedano la moratoria sul debito, al fine di dare un esempio di serietà e rigidità monetaria.
Potrà sembrare assurdo ma proprio facendo scoppiare un default e poi facendo poco o nulla, si lancerà il mesaggio secondo il quale "l’Euro è solido" noi della BCE non siamo come la "FED e il suo dollaro".

Io non so se stati tipo California o Grecia  o Corea, dichiareranno fallimento, ma se così fosse, chi cade per primo si trascina a fondo la sua moneta!
Dubay nella sua moratoria, ha semplicemente fatto suonare un campanello d’allarme!

-IL Compasso-

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 13:56

complimenti Compasso per i sempre otttimi interventi.

permetti però che mentalità secondo la quale "se tu sbagli devi pagare ! ",  non signiffica infischiarsene degli altri. 
significa Responsabilizzare.
Vorresti tu pagare i bediti fatti dal tuo vicino di casa che peraltro, sapendolo, spende ancor di più?

Ciao
Delfino

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 14:01

Ciao

ieri ero ad Assisi,
complimenti, la tua relazione e’ stata molto efficace, e comprensibile.
Fabio B.

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 14:29

ecco dov’è Vale 64 ! Ad assisi! è partita 1 settimana prima ….

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 14:31

Chi  ha rapito Vale 64 ?

Scritto il 29 Novembre 2009 at 15:26

compasso hai fatto una dimenticanza. la BCE non è, e mai lo sarà, un prestatore di ultima istanza. trichet se ne frega se salta uno stato. non è suo compito salvarlo. leggete qui.
La BCE ammette: non c’è un prestatore di ultima istanza

14 gennaio 2008 – Quando il corrispondente dell’EIR Rainer Apel ha chiesto a Jean-Claude Trichet, presidente della Banca Centrale Europea, “chi è il prestatore di ultima istanza, in Europa, se le cose si aggravano?” Trichet ha risposto, di fronte alla stampa internazionale convenuta alla conferenza stampa della BCE del 10 gennaio a Francoforte: “Il nostro non è un istituto che deve preoccuparsi dei problemi di solvibilità”. La BCE adempie al mandato di garantire i prezzi e la stabilità monetaria, e questo è quanto, ha affermato Trichet. Non ha detto chi sarebbe il prestatore di ultima istanza semplicemente perché non c’è. L’Eurolandia si ritrova senza paracadute nel bel mezzo della più grave crisi finanziaria della storia.
L’argomento è estremamente importante in quanto la “crisi di liquidità” si sta rapidamente trasformando in una “crisi di insolvenza”. Secondo un esperto consultato dall’EIR, “i problemi del 2008 sono di un ordine di grandezza ben più grande rispetto al 2007”. Siamo entrati in un periodo in cui le grandi banche e finanziarie sottopongono i bilanci ai revisori esterni, dopo aver annunciato perdite nel quarto trimestre 2007 sulla scorta delle proprie revisioni interne, ha spiegato l’esperto. I revisori esterni però vedono che i conti non tornano per cui le perdite in bilancio si gonfiano al punto che si materializza lo spettro di fallimenti. Mentre le perdite ufficialmente calcolate dalle banche centrali sono già enormi, nell’ordine delle centinaia di miliardi di dollari, i valori da cancellare riguardano 3000 miliardi di dollari, stima l’esperto consultato. Questo è ciò che si sta verificando al momento, ed è il contesto per comprendere le voci più o meno fondate su nuove perdite di due istituti, Citigroup e la Merrill Lynch, che da sole avrebbero perso altri 40 miliardi.
La prospettiva di grandi insolvenze trova l’Europa in un grande vuoto di potere, sostiene Helga Zepp LaRouche in un documento del 10 gennaio. Quando fu fondata, alla BCE fu conferito solo il potere di emettere moneta, mentre i poteri di supervisione e di controllo, compreso quello del prestatore di ultima istanza, sono rimasti in mano alle banche centrali nazionali. Ma con la moneta unica e l’integrazione dei mercati finanziari dell’UE, una crisi a tutto campo diventa una sfida impossibile da affrontare entro i propri confini nazionali. Il caso della Northern Rock ha dimostrato il grado di difficoltà già incontrato in un paese, l’Inghilterra, in cui il prestatore d’ultima istanza c’è, e le questioni monetarie e le insolvenze sono gestite da un’unica istituzione. Nel caso di insolvenze a tutto campo nell’Eurozona, i problemi della Northern Rock si ripresenterebbero all’ennesima potenza.
“Con l’introduzione dell’euro”, scrive Zepp-LaRouche, “la sovranità monetaria è stata trasferita alla Banca Centrale Europea, ma ora emerge un paradosso: con le immissioni straordinarie di liquidità, la cosiddetta Emergency Liquidity Assistance, le banche centrali nazionali hanno la responsabilità, ma al tempo stesso non hanno la sovranità sulla creazione monetaria. E questo vuoto legale, che i padri dell’Euro credevano di poter semplicemente ignorare, adesso si presenta come lo scoglio su cui probabilmente naufragherà l’Unione Europea”.
“Il problema principale per l’architettura finanziaria BCE-Euro si colloca nel fatto che i governi nazionali sono stati spogliati degli strumenti per difendere le rispettive economie e sistemi bancari, e per avviare programmi di investimenti pubblici con i quali sarebbe possibile sottrarre l’economia dalla depressione incombente. E’ consentito estendere crediti alle banche in difficoltà soltanto se vengono date garanzie adeguate e a prezzo di mercato. L’emissione di crediti a buon mercato sarebbe un’iniezione di denaro pubblico, una facoltà che non è della banca centrale ma dello stato che, secondo il Trattato dell’UE, può farvi ricorso solo a certe condizioni che debbono essere approvate dalla Commissione UE. In generale il Trattato vieta alle banche centrali di finanziare i costi originati dallo stato”.
I paesi dell’UE si trovano ad affrontare disarmati la più grande depressione della storia. Helga Zepp-LaRouche sostiene che per cambiare tutto questo occorrono iniziative legislative fondate su quelle clausole delle Costituzioni Nazionali che proteggono e favoriscono il Bene Comune: “Il trasferimento della sovranità monetaria ad istituzioni sovrannazionali dev’essere ribaltato. Il Trattato di Maastricht e il Patto di Stabilità debbono essere congelati”. Lo stato deve proteggere le banche ordinarie, creando delle “muraglie” tra queste e le entità speculative, non-bancarie, e provvedere all’emissione del credito per finanziare un programma di ripresa economica fondato sugli investimenti nelle grandi infrastrutture.
“In altre parole: occorre far ritorno ai principi dell’economia fisica e del bene comune a cui conferire la precedenza rispetto agli interessi privati di pochi”.
Nella conferenza stampa di Francoforte, la BCE ha fatto chiaramente capire che i banchieri centrali stanno andando nella direzione opposta: proteggere gli interessi oligarchici dei pochi a scapito dell’intera popolazione. Trichet ha dichiarato, scandendo le parole, che la BCE “non tollererà” che i governi reagiscano all’inflazione dei prezzi consentendo aumenti salariali. “Noi diciamo loro questo: potete prendere le decisioni che volete, è vostra responsabilità, ma vi diffidiamo in anticipo dal contribuire ad una spirale inflazionistica sul medio termine attraverso ciò che chiamiamo effetti di ritorno. Questi effetti non si trovano soltanto nei rinnovi dei contratti, sebbene questi costituiscano un elemento notevole e persino dominante. Ci sono anche tutti gli altri meccanismi di determinazione dei prezzi”. Trichet ha minacciato di aumentare i tassi d’interesse nel caso in cui i politici non avessero capito che debbono “comportarsi bene”.
Secondo la BCE, i governo d’Eurolandia non dovrebbero consentire aumenti salariali superiori all’inflazione “media”, che lui stabilisce a 3,1%. Ma al proposito, il nostro corrispondente Rainer Apel gli ha ricordato: “La popolazione generale vive un’altra situazione: va a fare la spesa e fa i conti con i tassi d’inflazione per i diversi generi; lo stesso problema si presenta al distributore di benzina. L’impressione che essa ne ricava è diversa dalla Sua. A ragione di ciò diversi esperti – e mi pare che il loro numero si stia rapidamente moltiplicando – concorda con l’economista americano Lyndon LaRouche secondo cui siamo all’inizio di un processo di iperinflazione. La dinamica è ben diversa”.
D’altronde, se Trichet fosse minimamente serio sul tema dell’inflazione dovrebbe spiegare come mai da una parte immette miliardi nel sistema (ha appena annunciato un’altra asta di 10 miliardi di dollari a scadenza mensile) che vengono usati per speculare sul petrolio, sulle materie prime e sugli alimentari, mentre dall’altra parte esige dai governi di non proteggere in alcun modo la popolazione dalle conseguenze inflative che questo produce!
Il video e la trascrizione della conferenza di Trichet sono sul sito della BCE: http://www.ecb.de/press/pressconf/2008/html/is080110.en.html. L’intervento di Apel è al minuto 27 della parte domande e risposte.

DORF

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 16:08

cari segaioli sfiniti, ma se un settimanale come panorma nel marzo 2009 pubblica questo articolo :
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Effetti della crisi: Golfo Persico, —-fine di un sogno

Tags: Dubai, golfo-persico
Lascia un commento

Da Abu Dhabi
Jasvinder Singh ha solo un mese di tempo per lasciare Dubai. Emigrato da Mumbai, ha lavorato negli Emirati per sei anni come muratore. Anni di boom, di progetti ciclopici, per 300 miliardi di dollari; 12 ore di duro lavoro a 40 gradi, sette giorni a settimana, per guadagnare 300 dollari al mese, due terzi dei quali spediti a casa, a moglie e figli. A fine febbraio l’indiano Jasvinder, 24 anni, è stato licenziato e si è visto cancellare il permesso di soggiorno: l’impresa sudafricana per la quale lavorava ha interrotto la costruzione di uno dei tanti grattacieli sulla Sheikh Zayed road, l’autostrada più lunga degli Emirati Arabi Uniti. Il suo sogno si è interrotto assieme a quello di altri 20 mila connazionali che hanno prenotato o sono in lista di attesa a marzo sui numerosi voli Dubai-Mumbai organizzati in fretta e furia dall’ambasciata indiana.
Sono 3,6 milioni gli espatriati a Dubai rispetto a una popolazione di 864 mila locali. Un sondaggio della società Real opinions ha rilevato che quattro lavoratori stranieri su 10 sono pronti ad andarsene nei prossimi 12 mesi. Non sono solo indiani, pachistani, filippini, nepalesi ed egiziani, la manodopera a basso costo che ha costruito il miracolo della Disneyland sul Golfo. Ci sono anche ingegneri, banchieri e consulenti finanziari inglesi, tedeschi, francesi e pure alcuni italiani, che hanno perso il posto, il mutuo, il leasing dell’auto e sono scappati per evitare bancarotta e carcere.
Oggi all’aeroporto di Dubai giacciono 3 mila vetture, quasi tutte di grossa cilindrata, abbandonate da professionisti in fuga. L’abbuffata degli hotel a sette stelle, delle piste da sci nei centri commerciali, delle ville hollywoodiane nelle isole artificiali a forma di palma (il progetto è stato ridotto già a novembre 2008), dei grattacieli più alti al mondo è finita.
Gravata da debiti per 80 miliardi di dollari, quasi quanto il pil, seppure con 360 miliardi di dollari di beni all’estero, la città stato più glamour di tutti e sette gli emirati s’è arresa alla capitale federale, meno pretenziosa e più solida grazie a riserve petrolifere per altri 100 anni: il 22 febbraio la banca centrale di Abu Dhabi ha sottoscritto l’emissione di una prima tranche di 10 miliardi di dollari di obbligazioni per salvare Dubai dal crac.
È la fine della finanza sbarazzina basata su speculazione e prestiti concessi con troppa facilità anche nel ricco Golfo Persico. S’impone un altro modello di stato, fondato sul turismo culturale e sulle nuove tecnologie dell’energia rinnovabile. Al Burj al-Arab di Dubai, l’albergo a forma di vela più lussuoso del mondo, si contrappone il museo del Louvre di Abu Dhabi disegnato dall’architetto francese Jean Daniel. Allo shopping dei centri commerciali di Dubai fa da contraltare la città ecologica da 50 mila abitanti di Masdar, firmata da Norman Foster e alimentata solo da energia rinnovabile.
“La rivoluzione verde è una scelta strategica per l’emirato di Abu Dhabi” dice a Panorama Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato del progetto Masdar. “Entro il 2020 almeno il 7 per cento della nostra produzione energetica deriverà da fonti rinnovabili”. L’investimento è pari a 15 miliardi di dollari, la stessa cifra che Barack Obama ha stanziato negli Stati Uniti per invogliare il settore privato a costruire “un futuro ecocompatibile”. Secondo i calcoli di Jaber, “questo mercato vale dai 6 agli 8 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni ed è un’opportunità per molte aziende locali e internazionali”. Il deserto di sabbia diventerà verde anche negli altri “petro-stati”, che vogliono risparmiare il greggio, soprattutto quando il prezzo del barile è sui 40 dollari contro i 147 della scorsa estate, e sfruttare le nuove tecnologie?
Per il momento l’esempio, seppur su scala ridotta, è stato seguito dall’Arabia Saudita, il massimo produttore di petrolio al mondo e il paese con le maggiori riserve accertate. La nuova Università di scienza e tecnologia King Abdullah ha finanziato uno scienziato di Stanford con 25 milioni di dollari affinché studi come abbassare il costo dell’energia solare fino a renderlo pari a quello del carbone. Accordi analoghi sono stati firmati con le università di Cambridge, Cornell, Imperial, Oxford, Utrecht e La Sapienza di Roma.
È uno degli espedienti per non farsi cogliere impreparati nel momento in cui l’economia mondiale ripartirà. L’altro strumento è l’applicazione del modello keynesiano. Con una crescita prevista attorno allo 0,8 per cento nel 2009 contro il 5,5 per cento dell’anno scorso, e un deficit fiscale del 3,1 per cento rispetto al pil contro un surplus del 22,8 per cento nel 2008, l’Arabia Saudita intende investire 60 miliardi di dollari in progetti di lavori pubblici, quasi la metà dell’intero budget di quest’anno. Come il presidente americano Obama, re Abdullah ha deciso di puntare su nuove scuole, università, ospedali e strade, senza scordare timide riforme politiche (con la nomina della prima donna nel governo) e la repressione dei leader religiosi fondamentalisti. Ha scelto di investire in infrastrutture anche il vicino Qatar, che pure è fra i petro-stati quello che pare soffrire di meno, con una crescita prevista del 4,5 per cento.
È la risposta più efficace alla crescente disoccupazione e all’insoddisfazione dei giovani, che potrebbero provocare sommosse e favorire organizzazioni terroristiche, pronte a reclutare i disperati. Ma è anche un modo per accogliere di nuovo quei lavoratori stranieri che, forzati all’esodo dalla crisi, potrebbero tornare nel Golfo con nuovi sogni e magari con più diritti.

pino.buongiorno
Domenica 8 Marzo 2009

————————————————————-
secondo le vostre piccole menti ottuse, sono così sorpresi i big player mondiali ?

fatevi meno pippe

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 16:08

cari segaioli sfiniti, ma se un settimanale come panorma nel marzo 2009 pubblica questo articolo :
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Da Abu Dhabi
Jasvinder Singh ha solo un mese di tempo per lasciare Dubai. Emigrato da Mumbai, ha lavorato negli Emirati per sei anni come muratore. Anni di boom, di progetti ciclopici, per 300 miliardi di dollari; 12 ore di duro lavoro a 40 gradi, sette giorni a settimana, per guadagnare 300 dollari al mese, due terzi dei quali spediti a casa, a moglie e figli. A fine febbraio l’indiano Jasvinder, 24 anni, è stato licenziato e si è visto cancellare il permesso di soggiorno: l’impresa sudafricana per la quale lavorava ha interrotto la costruzione di uno dei tanti grattacieli sulla Sheikh Zayed road, l’autostrada più lunga degli Emirati Arabi Uniti. Il suo sogno si è interrotto assieme a quello di altri 20 mila connazionali che hanno prenotato o sono in lista di attesa a marzo sui numerosi voli Dubai-Mumbai organizzati in fretta e furia dall’ambasciata indiana.
Sono 3,6 milioni gli espatriati a Dubai rispetto a una popolazione di 864 mila locali. Un sondaggio della società Real opinions ha rilevato che quattro lavoratori stranieri su 10 sono pronti ad andarsene nei prossimi 12 mesi. Non sono solo indiani, pachistani, filippini, nepalesi ed egiziani, la manodopera a basso costo che ha costruito il miracolo della Disneyland sul Golfo. Ci sono anche ingegneri, banchieri e consulenti finanziari inglesi, tedeschi, francesi e pure alcuni italiani, che hanno perso il posto, il mutuo, il leasing dell’auto e sono scappati per evitare bancarotta e carcere.
Oggi all’aeroporto di Dubai giacciono 3 mila vetture, quasi tutte di grossa cilindrata, abbandonate da professionisti in fuga. L’abbuffata degli hotel a sette stelle, delle piste da sci nei centri commerciali, delle ville hollywoodiane nelle isole artificiali a forma di palma (il progetto è stato ridotto già a novembre 2008), dei grattacieli più alti al mondo è finita.
Gravata da debiti per 80 miliardi di dollari, quasi quanto il pil, seppure con 360 miliardi di dollari di beni all’estero, la città stato più glamour di tutti e sette gli emirati s’è arresa alla capitale federale, meno pretenziosa e più solida grazie a riserve petrolifere per altri 100 anni: il 22 febbraio la banca centrale di Abu Dhabi ha sottoscritto l’emissione di una prima tranche di 10 miliardi di dollari di obbligazioni per salvare Dubai dal crac.
È la fine della finanza sbarazzina basata su speculazione e prestiti concessi con troppa facilità anche nel ricco Golfo Persico. S’impone un altro modello di stato, fondato sul turismo culturale e sulle nuove tecnologie dell’energia rinnovabile. Al Burj al-Arab di Dubai, l’albergo a forma di vela più lussuoso del mondo, si contrappone il museo del Louvre di Abu Dhabi disegnato dall’architetto francese Jean Daniel. Allo shopping dei centri commerciali di Dubai fa da contraltare la città ecologica da 50 mila abitanti di Masdar, firmata da Norman Foster e alimentata solo da energia rinnovabile.
“La rivoluzione verde è una scelta strategica per l’emirato di Abu Dhabi” dice a Panorama Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato del progetto Masdar. “Entro il 2020 almeno il 7 per cento della nostra produzione energetica deriverà da fonti rinnovabili”. L’investimento è pari a 15 miliardi di dollari, la stessa cifra che Barack Obama ha stanziato negli Stati Uniti per invogliare il settore privato a costruire “un futuro ecocompatibile”. Secondo i calcoli di Jaber, “questo mercato vale dai 6 agli 8 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni ed è un’opportunità per molte aziende locali e internazionali”. Il deserto di sabbia diventerà verde anche negli altri “petro-stati”, che vogliono risparmiare il greggio, soprattutto quando il prezzo del barile è sui 40 dollari contro i 147 della scorsa estate, e sfruttare le nuove tecnologie?
Per il momento l’esempio, seppur su scala ridotta, è stato seguito dall’Arabia Saudita, il massimo produttore di petrolio al mondo e il paese con le maggiori riserve accertate. La nuova Università di scienza e tecnologia King Abdullah ha finanziato uno scienziato di Stanford con 25 milioni di dollari affinché studi come abbassare il costo dell’energia solare fino a renderlo pari a quello del carbone. Accordi analoghi sono stati firmati con le università di Cambridge, Cornell, Imperial, Oxford, Utrecht e La Sapienza di Roma.
È uno degli espedienti per non farsi cogliere impreparati nel momento in cui l’economia mondiale ripartirà. L’altro strumento è l’applicazione del modello keynesiano. Con una crescita prevista attorno allo 0,8 per cento nel 2009 contro il 5,5 per cento dell’anno scorso, e un deficit fiscale del 3,1 per cento rispetto al pil contro un surplus del 22,8 per cento nel 2008, l’Arabia Saudita intende investire 60 miliardi di dollari in progetti di lavori pubblici, quasi la metà dell’intero budget di quest’anno. Come il presidente americano Obama, re Abdullah ha deciso di puntare su nuove scuole, università, ospedali e strade, senza scordare timide riforme politiche (con la nomina della prima donna nel governo) e la repressione dei leader religiosi fondamentalisti. Ha scelto di investire in infrastrutture anche il vicino Qatar, che pure è fra i petro-stati quello che pare soffrire di meno, con una crescita prevista del 4,5 per cento.
È la risposta più efficace alla crescente disoccupazione e all’insoddisfazione dei giovani, che potrebbero provocare sommosse e favorire organizzazioni terroristiche, pronte a reclutare i disperati. Ma è anche un modo per accogliere di nuovo quei lavoratori stranieri che, forzati all’esodo dalla crisi, potrebbero tornare nel Golfo con nuovi sogni e magari con più diritti.

pino.buongiorno
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fatevi meno pippe

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Scritto il 29 Novembre 2009 at 16:08

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Da Abu Dhabi
Jasvinder Singh ha solo un mese di tempo per lasciare Dubai. Emigrato da Mumbai, ha lavorato negli Emirati per sei anni come muratore. Anni di boom, di progetti ciclopici, per 300 miliardi di dollari; 12 ore di duro lavoro a 40 gradi, sette giorni a settimana, per guadagnare 300 dollari al mese, due terzi dei quali spediti a casa, a moglie e figli. A fine febbraio l’indiano Jasvinder, 24 anni, è stato licenziato e si è visto cancellare il permesso di soggiorno: l’impresa sudafricana per la quale lavorava ha interrotto la costruzione di uno dei tanti grattacieli sulla Sheikh Zayed road, l’autostrada più lunga degli Emirati Arabi Uniti. Il suo sogno si è interrotto assieme a quello di altri 20 mila connazionali che hanno prenotato o sono in lista di attesa a marzo sui numerosi voli Dubai-Mumbai organizzati in fretta e furia dall’ambasciata indiana.
Sono 3,6 milioni gli espatriati a Dubai rispetto a una popolazione di 864 mila locali. Un sondaggio della società Real opinions ha rilevato che quattro lavoratori stranieri su 10 sono pronti ad andarsene nei prossimi 12 mesi. Non sono solo indiani, pachistani, filippini, nepalesi ed egiziani, la manodopera a basso costo che ha costruito il miracolo della Disneyland sul Golfo. Ci sono anche ingegneri, banchieri e consulenti finanziari inglesi, tedeschi, francesi e pure alcuni italiani, che hanno perso il posto, il mutuo, il leasing dell’auto e sono scappati per evitare bancarotta e carcere.
Oggi all’aeroporto di Dubai giacciono 3 mila vetture, quasi tutte di grossa cilindrata, abbandonate da professionisti in fuga. L’abbuffata degli hotel a sette stelle, delle piste da sci nei centri commerciali, delle ville hollywoodiane nelle isole artificiali a forma di palma (il progetto è stato ridotto già a novembre 2008), dei grattacieli più alti al mondo è finita.
Gravata da debiti per 80 miliardi di dollari, quasi quanto il pil, seppure con 360 miliardi di dollari di beni all’estero, la città stato più glamour di tutti e sette gli emirati s’è arresa alla capitale federale, meno pretenziosa e più solida grazie a riserve petrolifere per altri 100 anni: il 22 febbraio la banca centrale di Abu Dhabi ha sottoscritto l’emissione di una prima tranche di 10 miliardi di dollari di obbligazioni per salvare Dubai dal crac.
È la fine della finanza sbarazzina basata su speculazione e prestiti concessi con troppa facilità anche nel ricco Golfo Persico. S’impone un altro modello di stato, fondato sul turismo culturale e sulle nuove tecnologie dell’energia rinnovabile. Al Burj al-Arab di Dubai, l’albergo a forma di vela più lussuoso del mondo, si contrappone il museo del Louvre di Abu Dhabi disegnato dall’architetto francese Jean Daniel. Allo shopping dei centri commerciali di Dubai fa da contraltare la città ecologica da 50 mila abitanti di Masdar, firmata da Norman Foster e alimentata solo da energia rinnovabile.
“La rivoluzione verde è una scelta strategica per l’emirato di Abu Dhabi” dice a Panorama Sultan Ahmed al-Jaber, amministratore delegato del progetto Masdar. “Entro il 2020 almeno il 7 per cento della nostra produzione energetica deriverà da fonti rinnovabili”. L’investimento è pari a 15 miliardi di dollari, la stessa cifra che Barack Obama ha stanziato negli Stati Uniti per invogliare il settore privato a costruire “un futuro ecocompatibile”. Secondo i calcoli di Jaber, “questo mercato vale dai 6 agli 8 miliardi di dollari nei prossimi 10 anni ed è un’opportunità per molte aziende locali e internazionali”. Il deserto di sabbia diventerà verde anche negli altri “petro-stati”, che vogliono risparmiare il greggio, soprattutto quando il prezzo del barile è sui 40 dollari contro i 147 della scorsa estate, e sfruttare le nuove tecnologie?
Per il momento l’esempio, seppur su scala ridotta, è stato seguito dall’Arabia Saudita, il massimo produttore di petrolio al mondo e il paese con le maggiori riserve accertate. La nuova Università di scienza e tecnologia King Abdullah ha finanziato uno scienziato di Stanford con 25 milioni di dollari affinché studi come abbassare il costo dell’energia solare fino a renderlo pari a quello del carbone. Accordi analoghi sono stati firmati con le università di Cambridge, Cornell, Imperial, Oxford, Utrecht e La Sapienza di Roma.
È uno degli espedienti per non farsi cogliere impreparati nel momento in cui l’economia mondiale ripartirà. L’altro strumento è l’applicazione del modello keynesiano. Con una crescita prevista attorno allo 0,8 per cento nel 2009 contro il 5,5 per cento dell’anno scorso, e un deficit fiscale del 3,1 per cento rispetto al pil contro un surplus del 22,8 per cento nel 2008, l’Arabia Saudita intende investire 60 miliardi di dollari in progetti di lavori pubblici, quasi la metà dell’intero budget di quest’anno. Come il presidente americano Obama, re Abdullah ha deciso di puntare su nuove scuole, università, ospedali e strade, senza scordare timide riforme politiche (con la nomina della prima donna nel governo) e la repressione dei leader religiosi fondamentalisti. Ha scelto di investire in infrastrutture anche il vicino Qatar, che pure è fra i petro-stati quello che pare soffrire di meno, con una crescita prevista del 4,5 per cento.
È la risposta più efficace alla crescente disoccupazione e all’insoddisfazione dei giovani, che potrebbero provocare sommosse e favorire organizzazioni terroristiche, pronte a reclutare i disperati. Ma è anche un modo per accogliere di nuovo quei lavoratori stranieri che, forzati all’esodo dalla crisi, potrebbero tornare nel Golfo con nuovi sogni e magari con più diritti.

pino.buongiorno
Domenica 8 Marzo 2009

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secondo le vostre piccole menti ottuse, sono così sorpresi i big player mondiali ?

fatevi meno pippe

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 16:19

p.s.

notate bene il passaggio :

Gravata da debiti per 80 miliardi di dollari, quasi quanto il pil, seppure con 360 miliardi di dollari di beni all’estero, la città stato più glamour di tutti e sette gli emirati s’è arresa alla capitale federale, meno pretenziosa e più solida grazie a riserve petrolifere per altri 100 anni: il 22 febbraio la banca centrale di Abu Dhabi ha sottoscritto l’emissione di una prima tranche di 10 miliardi di dollari di obbligazioni per salvare Dubai dal crac.

il crack dubai l’ha già evitato a febbrario.
potere dell’informazione

ma voi eravate proppo intenti a seguire la fine del mondo.

ahahhahahahhahahahahahahahahaha

che buffoni

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 17:20

@ il #37-38

Mi perdoni ma temo che le sia sfuggita la vera natura e dimensione del problema.
Vuole cortesemente leggere l’artcolo titolato ‘Mamma! Mi si è allargato il Dubai-Debito’  che trova la seguente indirizzo: http://lagrandecrisi2009.blogspot.com/

Presti attenzione a quanto scritto sotto la parola Creditors, in particolare ai soggetti indicati e relative cifre in billions (=miliardi)
Grazie

luigiza
 

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 18:01

Caro utente #37 e #38 tu parli con gente che conosce bene la realtà di Dubai, non c’èra bisogno dell’articolo di Pino Buongiorno.
E’ da un anno che si vedevono macchine di grossa cilindrata abbandonate all’aereoporto, bastava notare come erano sporche del classico velo di sabbia del deserto per capire che alcune stavano li da mesi.
Il motivo per cui la gente straniera scappava da Dubai è molto semplice, se li hai un debito o non riesci a coprire un assegno, vai a finire in prigione!!
Anzi ti dico che gli arabi tollerano poco chi non gli restituisce indietro il loro denaro, non fatevi ingannare dalla loro cortesia, per quanto siano persone affabili non ammettono di perdere soldi e possono diventare anche molto cattivi.

Oggi il progetto di far diventare Dubai la principale piazza commerciale del medio oriente, si è scontrato con una crisi poderosa, ma io starei attento a pensare che Dubai diventi una "città fantasma" dall’oggi al domani, semplicemente è venuto meno il settore dell’edilizia.
Nella citta girano meno soldi ma parlare di crisi nera è da ingenui!
Qualcuno ha paragonato Dubai a New York, in realtà Dubai è più simile ad una Las Vegas del medio oriente e vi posso assicurare che adempie perfettamente al compito che si è prefisso.

Ora la città passerà attraverso una fase di transizione che durerà al massimo tre o quattro anni e poi sarà rilanciata, forse con meno impeto di prima, ma con obiettivi più realistici.
Gli emirrati non vedevano l’ora sbarazzarsi di centinaia di migliaia di lavoratori esteri, che sono stati trattati peggio di cani e stava diventando probblematici.
Il mondo Arabo per sua cultura preferisce operare nella vicina Dubai, piuttosto che a Londra o New York.
Dubai potrà sembrare carnevalesca al limite del kitsch, ma per i musulmani era la giusta mediazione fra la loro cultura e il mondo moderno occidentale.
Dovete tener anche conto che è molto difficile far affari  direttamente con l’ Arabia Saudita, l’Iran, il Pakistan e tutti i stati medio orientali, invece a Dubai tutto diventava più semplice e facile.
E’ troppo arduo spiegare il modo di fare della cultura medio orientale, siamo troppo soggiogati dal modello del "ricco scheicco arabo", ma sappiate che li esistono usi e convenzioni che sono differenti dal modo di fare degli imprenditori occidentali.

"Nulla nasce per caso"

-IL Compasso-

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 19:45

 Dubai il nocciolo della questione !!!
Il vero problema e’ che banche come RBS ed HSBC hanno sul piatto 30-40 miliardi di USD a Dubai ma chi paga e’ sempre Pantalone, i buchi coperti da Bank of England (guarda caso proprio giovedi vi erano voci di prestiti extra, non dichiarati da parte di BoE per circa 65 miliardi di sterline) non vi pare strano l’ analogia delle cifre ?
Poi visto il deficit tagliamo lo stato sociale…forse pochi sanno che a Londra la differenza di aspettative di vita tra un quartiere ricco e povero arriva addirittura a 12 anni…vi rendete conto della differenza ? Allora per salvare il lusso di Dubai, fatto sulla pelle degli immigrati (negli UAE la schiavitu’ fu abolita nel 1971 !!!) si taglieranno fondi a bisognosi in UK ! Chi crede che questo sia sostenibile e’ semplicemente pazzo !
Saluti
Massimo

Scritto il 29 Novembre 2009 at 20:44

Sono arrivata ora….

GRAZIE!! Grazie a chi mi cerca, a chi ha notato la mia momentanea assenza, grazie di cuore davvero!!
Non sono influenza, mai stata meglio!!! Davvero benissimo ora poi!!!
Devo leggere un pò per mettermi in pari, ma arrivo !
Vorrei dire tante cose, non so se mai ci riuscirò, non trovo ne poesie, ne tantomeno immagini per dirvi ciò che ho nel cuore…
innanzitutto un saluto e
delle scuse in particolare a quei compagni di viaggio con  i quali non sono riuscita a scambiare che poche, pochissime parole, come SD!

Ma ne sono certa, non mancheranno altre occasioni!!

Allora SD, non è vero che il nostro capitano assomiglia a  un grande capo indiano??:-) 🙂

Grazie a Paolo G. che ha reso possibile tutto ciò, alla disponibilità di due carismatici relatori, alla presenza di cari compagni di viaggio!
all’ospitalita e all’infinita gentilezza di M.Cristina, agli amici di Alba, di Cristina ed Alessandro;
è stato un onore ed un immenso piacere conoscere gracav, MarcoColacci,
lucio, antonio e ritrovare gli amici dell’incontro a Trento, vero Fabio e Antonio, Vincenzo, solo per dirne alcuni…. non vorrei dimenticare nessuno…ma eravate in tanti ben presenti…e questo parla da se!

Caro Dispensatore di verità e team, voglio dirti un’ ultima cosa, da ora in poi Ti ignorerò, ma sono contenta, ora più che mai, enormemente contenta, e lo sono con un’enerme presunzione, si te lo dico, con Presunzione di essere una di quei "sfigati di borsa" di cui parli Tu, Ti auguro di cuore, e sono sincera lauti guadagni e di farne soprattutto buon uso, ben altre , da sempre sono Le richezze che mi attraggono e non hanno prezzo!! Buona Fortuna!!!

Vento in poppa Capitano, sempre,
Cari compagni di viaggio un grande Grandissimo abbraccio…fino all’attracco al prossimo porto sicuro!!!

Valentina

utente anonimo
Scritto il 29 Novembre 2009 at 23:26

Come volevas dimostrare, ecco come ruters ci presenta il caso dubai:

Dubai model was the vision of one man
DUBAI (Reuters)
– The “Dubai vision,” which has suffered a crushing blow from the freewheeling Gulf emirate’s sudden debt crisis, is the creation of one man who failed to apply the rules of open governance.

Abbiamo visto come la governance sia stata ben applicata in altre parti del mondo…non so…mi viene in mente la FED…..
raffaele

utente anonimo
Scritto il 30 Novembre 2009 at 15:51

Il governo degli Emirati Arabi Uniti ha detto che non garantirà il debito di Dubai World.
Ma che strano, il bailout statale non è assicurato dappertutto!

utente anonimo
Scritto il 30 Novembre 2009 at 17:48

#44…ma certo che gli UAE (United Arab Emirates) non garantiranno il debito, loro da buoni arabi, hanno capito che con 65 miliardi di Dollari di Debito il problema non e’ loro ma delle banche che lo hanno sottoscritto ! Perche’ mai dovrebbero loro strapparsi le bianche vesti, che se le strappino i CEO delle banche coinvole, i loro azionisti ed in ultima istanza i Governi delle banche che ancora una volta con i soldi dei contribuenti garantiranno il funzionamento del sistema e per far quadrare i bilanci taglieranno ancora una volta lo stato sociale…per renderci molto piu’simili a Dubai dove un lavoratore indiano immigrato ammalato di tubercolori veniva rispedito al volo indietro spargendo il problema in quanto non e’un problema loro.
Saluti
Massimo

Scritto il 1 Dicembre 2009 at 17:26

Qualche post fa, Raffaele incitava a passare ai fatti.
 Ho il tetto rivolto a sud. Installerò dei pannelli fotovoltaici (tedeschi). Con i contributi europei dicono che ci guadagni, ma a me basterebbe la soddisfazione di produrre energia autonomamente, anche se penso che non sia la soluzione energetica giusta.
Speriamo che se Obama sa qualcosa sugli ET, lo dica subito: quelli il problema dell’energia l’hanno già risolto da tempo, se sono qua…
Pensa che shock per i dis-pensatori se gli ET gli scombussolano tutti i loro piani, anche se non ci sarà bisogno di marziani per riconnetterli alla realtà. Mi ricordo che quando Andrea prevedeva default e invece tutto saliva (autunno 2007 o giù di lì) c’era un tizio che si firmava Matrix che, con meno protervia degli attuali, demonizzava Andrea e sparava c…ate. Durante e dopo la “prima ondata” non s’è mai più fatto sentire: avrà perso tutto, oltre alla faccia.
Quando arriverà, la seconda ondata spazzerà via anche questi dis-pensatori e chissà quante volte la cosa si ripeterà.
A proposito, teniamoci in contatto con questi Mariano ed effeeffe, perché quando anche loro saranno short, vuol dire che sarà finita. E poi potrebbero aver ragione. Ottobre 2010: massimo relativo a 666, preceduto da un minimo a 450 (pardon, 444). Già, a dare i numeri son capaci tutti, soprattutto gli analisti tecnici.
 
Assisi deve essere stato molto bello e non poteva essere altrimenti, visto che si riunivano persone interessate sì all’economia, ma anche all’Uomo ed al suo divenire etico. Perciò ripropongo qui quello che avevo già scritto a Vale, PG ed Andrea: sarebbe bello organizzare un 3 giorni, in un agriturismo toscano (biologico). Sarebbe un modo per approfondire le nostre conoscenze e, come dice Raffaele, passare dalle teorie ai fatti. Un gruppo che, dopo aver approfondito le idee in comune (banca etica, Kiva, GAS, ecc.), magari averne discusso altre (signoraggio, scec, 1000 per cambiare, investimenti in Brasile per Paolo ecc.), aver condiviso idee innovative (sulla salute, sulla coltivazione del terreno, sull’utilizzo dell’acqua o delle energie alternative), venisse fuori con qualcosa di pratico, utile e diffondibile a chi sta intorno a noi.
E’ bello e giusto ESSERE, prima di tutto, ma è anche molto bello FARE qualsiasi cosa sia a scopo di bene e utile per il prossimo e per migliorare, nel nostro piccolo, questo mondo che noi, a differenza di tanti altri, vediamo con occhi diversi. Chissà che il vascello non sia ora pronto a produrre tanti “vascellini”, tutti in giro col libro di Andrea, Grande Capo Seminole.

Bill

Scritto il 1 Dicembre 2009 at 18:09

2 anni fa esatti ci sono stato…. si capiva lontano un miglio che c’era qualcosa che non quadrava, però questo crollo, con queste dimensioni, francamente non me lo aspettavo…..

utente anonimo
Scritto il 7 Luglio 2010 at 16:46

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utente anonimo
Scritto il 7 Luglio 2010 at 16:46

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